25/06/2016, 18.30
VATICANO - ARMENIA
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Papa in Armenia: riconcilizione con la Turchia e pace nel Nagorno Karabakh

Nell’incontro ecumenico e di preghiera per la pace Francesco parla dei “tanti passi di un cammino comune già molto avanzato”. In Medio Oriente “tanti nostri fratelli e sorelle soffrono violenza e persecuzione, a causa dell’odio e di conflitti sempre fomentati dalla piaga della proliferazione e del commercio di armi”.

 

Yerevan (AsiaNews) – Vittime di un “immane e folle sterminio” che è “doveroso” ricordare, gli armeni siano “ambasciatori di pace” in un mondo nel quale tante popolazioni sono “costrette ad abbandonare tutto, in particolare in Medio Oriente, dove tanti nostri fratelli e sorelle soffrono violenza e persecuzione”. La pace, con l’esortazione che “riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh” – l’enclave armena in Azerbaigian - e l’unità dei cristiani sono state al centro del discorso che papa Francesco ha rivolto alle 50mila persone riunite nella piazza della Repubblica di Yerevan (nella foto), per un incontro ecumenico e la preghiera per la pace.

Francesco è tornato a Yerevan dopo aver celebrato la messa a Gyumri, dove si è anche recato in visita  alla Cattedrale armena apostolica “Yot Verk” e alla Cattedrale armena cattolica dei Santi Martiri. Ad accogliere Francesco, che è sempre accompagnato dal Catholicos, una folla festante, il presidente della Repubblica Sargsyan e un’orchestra sinfonica.

Nel suo discorso Francesco, ricordata la “storia unica, intrisa di fede rocciosa e di sofferenza immane, una storia ricca di magnifici testimoni del Vangelo” del popolo armeno, ha detto che nel corso degli anni “le visite e gli incontri tra le nostre Chiese, sempre tanto cordiali e spesso memorabili, si sono, grazie a Dio, intensificati”. “Condividiamo con grande gioia – ha proseguito - i tanti passi di un cammino comune già molto avanzato, e guardiamo davvero con fiducia al giorno in cui, con l’aiuto di Dio, saremo uniti presso l’altare del sacrificio di Cristo, nella pienezza della comunione eucaristica”.

L’unità dei cristiani “non è infatti un vantaggio strategico da ricercare per mutuo interesse, ma quello che Gesù ci chiede e che sta a noi adempiere con la buona volontà e con tutte le forze, per realizzare la nostra missione: donare al mondo, con coerenza, il Vangelo”. “È bello essere qui radunati per pregare gli uni per gli altri, gli uni con gli altri. Ed è anzitutto il dono della preghiera che io sono venuto stasera a domandarvi. Da parte mia, vi assicuro che, nell’offrire il Pane e il Calice all’altare, non manco di presentare al Signore la Chiesa di Armenia e il vostro caro popolo”.

“«Vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Abbiamo ascoltato – ha detto ancora il Papa - queste parole del Vangelo, che ci dispongono a implorare da Dio quella pace che il mondo tanto fatica a trovare. Quanto sono grandi oggi gli ostacoli sulla via della pace, e quanto tragiche le conseguenze delle guerre! Penso alle popolazioni costrette ad abbandonare tutto, in particolare in Medio Oriente, dove tanti nostri fratelli e sorelle soffrono violenza e persecuzione, a causa dell’odio e di conflitti sempre fomentati dalla piaga della proliferazione e del commercio di armi, dalla tentazione di ricorrere alla forza e dalla mancanza di rispetto per la persona umana, specialmente per i deboli, per i poveri e per coloro che chiedono solo una vita dignitosa”.

“Non riesco a non pensare alle prove terribili che il vostro popolo ha sperimentato: un secolo è appena passato dal ‘Grande Male’ che si è abbattuto sopra di voi. Questo «immane e folle sterminio» (Saluto all’inizio della Santa Messa per i fedeli di rito armeno, 12 aprile 2015), questo tragico mistero di iniquità che il vostro popolo ha provato nella sua carne, rimane impresso nella memoria e brucia nel cuore. Voglio ribadire che le vostre sofferenze ci appartengono: «sono le sofferenze delle membra del Corpo mistico di Cristo» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica in occasione del 1700° anniversario del Battesimo del Popolo armeno: Insegnamenti XXIV, 1 [2001], 275); ricordarle non è solo opportuno, è doveroso: siano un monito in ogni tempo, perché il mondo non ricada mai più nella spirale di simili orrori! Desidero, al tempo stesso, ricordare con ammirazione come la fede cristiana, «anche nei momenti più tragici della storia armena, è stata la molla propulsiva che ha segnato l’inizio della rinascita del popolo provato» (ibid., 276). Essa è la vostra vera forza, che permette di aprirsi alla via misteriosa e salvifica della Pasqua: le ferite rimaste aperte e causate dall’odio feroce e insensato, possono in qualche modo conformarsi a quelle di Cristo risorto, a quelle ferite che gli furono inferte e che porta ancora impresse nella sua carne. Egli le mostrò gloriose ai discepoli la sera di Pasqua (cfr Gv 20,20): quelle terribili piaghe di dolore patite sulla croce, trasfigurate dall’amore, sono divenute sorgenti di perdono e di pace. Così, anche il dolore più grande, trasformato dalla potenza salvifica della Croce, di cui gli Armeni sono araldi e testimoni, può diventare un seme di pace per il futuro”.

“La memoria, attraversata dall’amore, diventa infatti capace di incamminarsi per sentieri nuovi e sorprendenti, dove le trame di odio si volgono in progetti di riconciliazione, dove si può sperare in un avvenire migliore per tutti, dove sono «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Farà bene a tutti impegnarsi per porre le basi di un futuro che non si lasci assorbire dalla forza ingannatrice della vendetta; un futuro, dove non ci si stanchi mai di creare le condizioni per la pace: un lavoro dignitoso per tutti, la cura dei più bisognosi e la lotta senza tregua alla corruzione, che va estirpata”.

“Cari giovani, questo futuro vi appartiene: facendo tesoro della grande saggezza dei vostri anziani, ambite a diventare costruttori di pace: non notai dello status quo, ma promotori attivi di una cultura dell’incontro e della riconciliazione. Dio benedica il vostro avvenire e «conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh» (Messaggio agli Armeni, 12 aprile 2015). In quest’ottica vorrei infine evocare un altro grande testimone e artefice della pace di Cristo, san Gregorio di Narek, che ho proclamato Dottore della Chiesa. Egli potrebbe essere definito anche ‘Dottore della pace’. Così ha scritto in quello straordinario Libro che mi piace pensare come la “costituzione spirituale del popolo armeno”: «Ricordati, [Signore,…] di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia. [...] Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (Libro delle Lamentazioni, 83,1-2). Narek, «partecipe profondamente consapevole di ogni necessità» (ibid., 3,2), ha voluto persino identificarsi con i deboli e i peccatori di ogni tempo e luogo, per intercedere a favore di tutti (cfr ibid., 31,3; 32,1; 47,2): si è fatto «l’offri preghiera di tutto il mondo» (ibid., 28,2). Questa sua solidarietà universale con l’umanità è un grande messaggio cristiano di pace, un grido accorato che implora misericordia per tutti. Gli Armeni, presenti in tanti Paesi e che desidero da qui abbracciare fraternamente, siano messaggeri di questo anelito di comunione, «ambasciatori di pace» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica in occasione del 1700° anniversario del Battesimo del Popolo armeno, 7: Insegnamenti XXIV, 1 [2001], 278). Il mondo intero ha bisogno di questo vostro annuncio, ha bisogno della vostra presenza, ha bisogno della vostra testimonianza più pura. Pace a voi!”.

 

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