23/08/2017, 10.46
VATICANO
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Papa: La speranza. Noi cristiani siamo gente più di primavera che d’autunno

di Papa Francesco

All’udienza generale nell’aula Paolo VI, papa Francesco sottolinea il fondamento della positività del futuro per i cristiani: Dio che fa “nuove tutte le cose”.  “C’è un Padre che piange lacrime di infinita pietà nei confronti dei suoi figli. Un Padre che ci aspetta per consolarci, perché conosce le nostre sofferenze e ha preparato per noi un futuro diverso”. “Non è cristiano camminare con lo sguardo rivolto verso il basso, senza alzare gli occhi all’orizzonte”. Presenti pellegrini da Libano, Siria, Medio oriente, India, Vietnam.

Città del Vaticano (AsiaNews) - Noi cristiani “siamo gente più di primavera che d’autunno: scorgiamo i germogli di un mondo nuovo piuttosto che le foglie ingiallite sui rami”. È quanto papa Francesco ha sottolineato nell’udienza generale stamane nell’aula Paolo VI, piena di pellegrini provenienti da tutto il mondo, anche dall’Asia: da Libano, Siria, India, Vietnam,…

Il tema dell’udienza di oggi - nella serie dedicata alla speranza cristiana - era un commento alle parole dell’Apocalisse, “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Il pontefice ha mostrato in molti modi questa forza della novità e della speranza nella vita dei cristiani: “[Noi] crediamo che i nostri giorni più belli devono ancora venire… Non ci culliamo in nostalgie, rimpianti e lamenti: sappiamo che Dio ci vuole eredi di una promessa e instancabili coltivatori di sogni”. Ecco il testo completo della catechesi di papa Francesco.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Abbiamo ascoltato la Parola di Dio nel libro dell’Apocalisse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (21,5). La speranza cristiana si basa sulla fede in Dio che sempre crea novità nella vita dell’uomo, nella storia e nel cosmo. Novità e sorprese.

Non è cristiano camminare con lo sguardo rivolto verso il basso, senza alzare gli occhi all’orizzonte. Come se tutto il nostro cammino si spegnesse qui, nel palmo di pochi metri di viaggio; come se nella nostra vita non ci fosse nessuna meta e nessun approdo, e noi fossimo costretti ad un eterno girovagare, senza alcuna ragione per tante nostre fatiche.

Le pagine finali della Bibbia ci mostrano l’orizzonte ultimo del cammino del credente: la Gerusalemme celeste. Essa è immaginata anzitutto come una immensa tenda, dove Dio accoglierà tutti gli uomini per abitare definitivamente con loro (Ap 21,3). E cosa farà Dio, quando finalmente saremo con Lui? Userà una tenerezza infinita nei nostri confronti, come un padre che accoglie i suoi figli che hanno a lungo faticato e sofferto. Profetizza Giovanni nell’Apocalisse: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! [... Egli] asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate [...] Ecco io faccio nuove tutte le cose!» (21,3-5).

Provate a meditare questo brano della Sacra Scrittura non in maniera astratta, ma dopo aver letto una cronaca dei nostri giorni, dove si riportano notizie tristi a cui tutti quanti rischiamo di assuefarci. Provate a pensare ai volti dei bambini impauriti dalla guerra, al pianto delle madri, ai sogni infranti di tanti giovani, ai profughi che affrontano viaggi terribili... La vita purtroppo è anche questo. Qualche volta verrebbe da dire che è soprattutto questo.

Ma c’è un Padre che piange lacrime di infinita pietà nei confronti dei suoi figli. Un Padre che ci aspetta per consolarci, perché conosce le nostre sofferenze e ha preparato per noi un futuro diverso. Questa è la grande visione della speranza cristiana, che si dilata su tutti i giorni della nostra esistenza, e ci vuole risollevare.

Dio non ha voluto le nostre vite per sbaglio, costringendo Sé stesso e noi a dure notti di angoscia. Ci ha invece creati perché ci vuole felici. È il nostro Padre, e se noi qui, ora, sperimentiamo una vita che non è quella che Egli ha voluto per noi, Gesù ci garantisce che Dio stesso sta operando il suo riscatto.

Noi crediamo e sappiamo che la morte e l’odio non sono le ultime parole pronunciate sulla parabola dell’esistenza umana. Essere cristiani implica una nuova prospettiva: uno sguardo pieno di speranza. Qualcuno crede che la vita trattenga tutte le sue felicità nella giovinezza e nel passato, e che il vivere sia un lento decadimento. Altri ancora ritengono che le nostre gioie siano solo episodiche e passeggere, e nella vita degli uomini sia iscritto il non senso. Ma noi cristiani non crediamo questo. Crediamo invece che nell’orizzonte dell’uomo c’è un sole che illumina per sempre. Crediamo che i nostri giorni più belli devono ancora venire. Siamo gente più di primavera che d’autunno: scorgiamo i germogli di un mondo nuovo piuttosto che le foglie ingiallite sui rami. Non ci culliamo in nostalgie, rimpianti e lamenti: sappiamo che Dio ci vuole eredi di una promessa e instancabili coltivatori di sogni.

Il cristiano sa che il Regno di Dio, la sua Signoria d’amore sta crescendo come un grande campo di grano, anche se in mezzo c’è la zizzania. E alla fine il male sarà eliminato. Il futuro non ci appartiene, ma sappiamo che Gesù Cristo è la più grande grazia della vita: è l’abbraccio di Dio che ci attende alla fine, ma che già ora ci accompagna e ci consola nel cammino. Lui ci conduce alla grande “tenda” di Dio con gli uomini (cfr Ap 21,3), con tanti altri fratelli e sorelle, e porteremo a Dio il ricordo dei giorni vissuti quaggiù. E sarà bello scoprire in quell’istante che niente è andato perduto, nessun sorriso e nessuna lacrima. Per quanto la nostra vita sia stata lunga, ci sembrerà di aver vissuto in un soffio. E che la creazione non si è arrestata al sesto giorno della Genesi, ma ha proseguito instancabile, perché Dio si è sempre preoccupato di noi. Fino al giorno in cui tutto si compirà, nel mattino in cui si estingueranno le lacrime, nell’istante stesso in cui Dio pronuncerà la sua ultima parola di benedizione: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose!» (v. 5). Sì, il nostro Padre è il Dio delle novità e delle sorprese. E quel giorno noi saremo davvero felici, e piangeremo di gioia.

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