09/05/2019, 13.49
VATICANO
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Papa: a rom e sinti, cittadini di seconda classe sono coloro che scartano la gente

Il vero problema, prima di essere politico e sociale, è legato ad una distanza: “È questo il problema di oggi: se voi mi dite che è un problema politico, un problema sociale, che è un problema culturale, un problema di lingua: sono cose secondarie. Il problema è un problema di distanza tra la mente e il cuore. Questo: è un problema di distanza”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – “Ci sono cittadini di seconda classe”, “ma i veri cittadini di seconda classe sono coloro che scartano la gente: questi sono di seconda, perché non sanno abbracciare”. Papa Francesco si è rivolto così a un gruppo di 500 rom e sinti ricevuti in Vaticano per un incontro promosso dalla fondazione Migrantes, organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana (Cei).

L’incontro si è aperto con alcune testimonianze, tra le quali quella di don Cristian Di Silvio, uno zingaro diventato prete e dal ricordo da parte del presidente della Cei cardinale Gualtiero Bassetti di ciò che trenta anni fa gli aveva rivolto un suo amico rom: “Vede padre - aveva detto questa persona rom - le vere distanze non sono quelle chilometriche, perché oggi a raggiungere tutti i Paesi della terra si fa presto; ma le vere distanze oggi sono quelle fra la testa e il cuore”.

“Delle cose che ho sentito – ha detto Francesco - tante mi hanno toccato il cuore, ma prendiamone una per incominciare, poi arriveranno le altre. Questa mamma che ha parlato, mi ha toccato il cuore quando ha detto che lei ‘leggeva’, ‘vedeva’ la speranza negli occhi dei figli. Ne ha quattro, mi ha detto, e questo va bene, questi sono due. La speranza può deludere se non è vera speranza, ma quando la speranza è concreta, come in questo caso, negli occhi dei figli, mai delude, mai delude! Quando la speranza è concreta, nel Dio vero, mai delude. Le mamme che leggono la speranza negli occhi dei figli lottano tutti i giorni per la concretezza, non per le cose astratte, no: crescere un figlio, dargli da mangiare, educarlo, inserirlo nella società… Sono cose concrete. E anche le mamme – oserei dire – sono speranza. Una donna che mette al mondo un figlio è speranza, semina speranza, è capace di fare strada, di creare orizzonti, di dare speranza”.

“In ambedue le testimonianze c’era sempre il dolore amaro della separazione: una cosa che si sente sulla pelle, non con le orecchie. Ti mettono da parte, ti dicono: ‘Sì, sì, tu passi, ma stai lì, non toccarmi’”.

“Una cosa che a me fa arrabbiare è che si siamo abituati a parlare della gente con gli aggettivi. Non diciamo: ‘Questa è una persona, questa è una mamma, questo è un giovane prete’, ma: ‘Questo è così, questo è così…’. Mettiamo l’aggettivo. E questo distrugge, perché non lascia che emerga la persona. Questa è una persona, questa è un’altra persona, questa è un’altra persona. I bambini sono persone. Tutti. Non possiamo dire: sono così, sono brutti, sono buoni, sono cattivi. L’aggettivo è una delle cose che crea distanze tra la mente e il cuore, come ha detto il Cardinale [Bassetti]. È questo il problema di oggi. Se voi mi dite che è un problema politico, un problema sociale, che è un problema culturale, un problema di lingua: sono cose secondarie. Il problema è un problema di distanza tra la mente e il cuore. Questo: è un problema di distanza. ‘Sì, sì, tu sei una persona, ma lontano da me, lontano dal mio cuore’. I diritti sociali, i servizi sanitari: ‘Sì, sì, ma faccia la coda… No, prima questo, poi questo’. È vero, ci sono cittadini di seconda classe, è vero. Ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente: questi sono di seconda classe, perché non sanno abbracciare. Sempre con l’aggettivo buttano fuori, scartano, e vivono scartando, vivono con la scopa in mano buttando fuori gli altri, o con il chiacchiericcio o con altre cose. Invece la vera strada è quella della fratellanza: ‘Vieni, poi parliamo, ma vieni, la porta è aperta’. E tutti dobbiamo collaborare”.

“Voi potete avere un pericolo… – tutti abbiamo sempre un pericolo – una debolezza, diciamo così, la debolezza forse di lasciar crescere il rancore. Si capisce, è umano. Ma vi chiedo, per favore, il cuore più grande, più largo ancora: niente rancore. E andare avanti con la dignità: la dignità della famiglia, la dignità del lavoro, la dignità di guadagnarsi il pane di ogni giorno – è questo che ti fa andare avanti – e la dignità della preghiera. Sempre guardando avanti. E quando viene il rancore, lascia perdere, poi la storia ci farà giustizia. Perché il rancore fa ammalare tutto: fa ammalare il cuore, la testa, tutto. Fa ammalare la famiglia, e non va bene, perché il rancore ti porta alla vendetta: ‘Tu fai così…’. Ma la vendetta io credo che non l’avete inventata voi. In Italia ci sono organizzazioni che sono maestre di vendetta. Voi mi capite bene, no? Un gruppo di gente che è capace di creare la vendetta, di vivere nell’omertà: questo è un gruppo di gente delinquente; non la gente che vuole lavorare”.

“Voi andate avanti con la dignità, con il lavoro… E quando si vedono le difficoltà, guardate in alto e troverete che lì ci stanno guardando. Ti guarda. C’è Uno che ti guarda prima, che ti vuole bene, Uno che ha dovuto vivere ai margini, da bambino, per salvare la vita, nascosto, profugo: Uno che ha sofferto per te, che ha dato la vita sulla croce. È Uno, come abbiamo sentito nella Lettura che tu hai fatto, che va cercando te per consolarti e incoraggiarti ad andare avanti. Per questo vi dico: niente distanza; a voi e a tutti: la mente con il cuore. Niente aggettivi, no: tutte persone, ognuno meriterà il proprio aggettivo, ma non aggettivi generali, secondo la vita che fai. Abbiamo sentito un bel nome, che include le mamme; è un bel nome questo: ‘mamma’. È una cosa bella”.

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