14/02/2015, 00.00
VATICANO
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Papa: i nuovi cardinali siano testimoni di carità, capaci di perdonare, di dare fiducia e speranza

Presente Benedetto XVI, ai 20 porporati creati oggi Francesco dà come "parola-guida" la carità, che è "magnanima", il che vuol dire "saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti" , essa poi "non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio", "non cerca il proprio interesse", ma ha al centro Cristo, dimentica il male ricevuto, evitando in particolare sentimenti di rancore e ama la giustizia, per cui rifiuta "qualunque ingiustizia gli risulti inaccettabile, anche quella potesse essere vantaggiosa per lui o per la Chiesa".

Città del Vaticano (AsiaNews) - I 20 nuovi cardinali, "creati" oggi da papa Francesco, devono avere come "parola-guida" la carità, essere cioè "persone capaci di perdonare sempre; di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di infondere sempre speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che sanno sopportare con pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella, in unione con Gesù, che ha sopportato con amore il peso di tutti i nostri peccati".

Secondo concistoro di papa Francesco per la creazione di nuovi cardinali: nella basilica di san Pietro c'è anche Benedetto XVI, invitato a partecipare al rito, come già nel concistoro del 22 febbraio dell'anno scorso. Ai 20 nuovi porporati - 15 "elettori", che potrebbero cioè partecipare a un conclave, e 5 ultraottantenni - provenienti da 18 Paesi di tutto il mondo (tre sono asiatici), Francesco ricorda che da oggi sono "cardine" della Chiesa di Roma e al momento della consegna della berretta la liturgia prevede che il Papa ricordi che essa è "segno della dignità del cardinalato, a significare che dovrete essere pronti a comportarvi con fortezza fino all'effusione del sangue per l'incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio e per la libertà e la diffusione della Santa Romana Chiesa".

Ma all'omelia il Papa dà ai nuovi porporati come "parola-guida" la carità, che è "magnanima", il che vuol dire "saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti" , essa poi "non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio", "non cerca il proprio interesse", ma ha al centro Cristo, dimentica il male ricevuto, evitando in particolare sentimenti di rancore e ama la giustizia, per cui rifiuta "qualunque ingiustizia gli risulti inaccettabile, anche quella potesse essere vantaggiosa per lui o per la Chiesa".

"Quella cardinalizia - dice il Papa - è certamente una dignità, ma non è onorifica. Lo dice già il nome - 'cardinale' - che evoca il 'cardine'; dunque non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità. Voi siete 'cardini' e siete incardinati nella Chiesa di Roma, che «presiede alla comunione universale della carità». Nella Chiesa - aggiunge - ogni presidenza proviene dalla carità, deve esercitarsi nella carità e ha come fine la carità. Anche in questo la Chiesa che è in Roma svolge un ruolo esemplare: come essa presiede nella carità, così ogni Chiesa particolare è chiamata, nel suo ambito, a presiedere nella carità.

Perciò penso che l''inno alla carità' della Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi possa essere la parola-guida per questa celebrazione e per il vostro ministero, in particolare per quelli tra voi che oggi entrano a far parte del Collegio cardinalizio. E ci farà bene lasciarci guidare, io per primo e voi con me, dalle parole ispirate dell'apostolo Paolo, in particolare là dove egli elenca le caratteristiche della carità. Ci aiuti in questo ascolto la nostra Madre Maria. Lei ha dato al mondo Colui che è 'la Via migliore di tutte' (cfr 1 Cor 12,31): Gesù, Carità incarnata; ci aiuti ad accogliere questa Parola e a camminare sempre su questa Via. Ci aiuti col suo atteggiamento umile e tenero di madre, perché la carità, dono di Dio, cresce dove ci sono umiltà e tenerezza.

Anzitutto san Paolo ci dice che la carità è «magnanima» e «benevola». Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo. Magnanimità è, in un certo senso, sinonimo di cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell'orizzonte delle grandi, perché 'Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est'. Saper amare con gesti benevoli. Benevolenza è l'intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene.

L'apostolo dice poi che la carità «non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio». Questo è davvero un miracolo della carità, perché noi esseri umani - tutti, e in ogni età della vita - siamo inclinati all'invidia e all'orgoglio dalla nostra natura ferita dal peccato. E anche le dignità ecclesiastiche non sono immuni da questa tentazione. Ma proprio per questo, cari Fratelli, può risaltare ancora di più in noi la forza divina della carità, che trasforma il cuore, così che non sei più tu che vivi, ma Cristo vive in te. E Gesù è tutto amore.

Inoltre, la carità «non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse». Questi due tratti rivelano che chi vive nella carità è de-centrato da sé. Chi è auto-centrato manca inevitabilmente di rispetto, e spesso non se ne accorge, perché il 'rispetto' è proprio la capacità di tenere conto dell'altro, della sua dignità, della sua condizione, dei suoi bisogni. Chi è auto-centrato cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale 'interesse' può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto è sempre il 'proprio interesse'. Invece la carità ti de-centra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo. Allora sì, puoi essere una persona rispettosa e attenta al bene degli altri.

La carità, dice Paolo, «non si adira, non tiene conto del male ricevuto». Al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi. E forse ancora di più rischiamo di adirarci nei rapporti tra noi confratelli, perché in effetti noi siamo meno scusabili. Anche in questo è la carità, e solo la carità, che ci libera. Ci libera dal pericolo di reagire impulsivamente, di dire e fare cose sbagliate; e soprattutto ci libera dal rischio mortale dell'ira trattenuta, 'covata' dentro, che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi. No. Questo non è accettabile nell'uomo di Chiesa. Se pure si può scusare un'arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e liberi!

La carità - aggiunge l'Apostolo - «non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità». Chi è chiamato nella Chiesa al servizio del governo deve avere un forte senso della giustizia, così che qualunque ingiustizia gli risulti inaccettabile, anche quella potesse essere vantaggiosa per lui o per la Chiesa. E nello stesso tempo «si rallegra della verità»: che bella questa espressione! L'uomo di Dio è uno che è affascinato dalla verità e che la trova pienamente nella Parola e nella Carne di Gesù Cristo. Lui è la sorgente inesauribile della nostra gioia. Che il popolo di Dio possa sempre trovare in noi la ferma denuncia dell'ingiustizia e il servizio gioioso della verità.

Infine, la carità «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Qui c'è, in quattro parole, un programma di vita spirituale e pastorale. L'amore di Cristo, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo, ci permette di vivere così, di essere così: persone capaci di perdonare sempre; di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di infondere sempre speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che sanno sopportare con pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella, in unione con Gesù, che ha sopportato con amore il peso di tutti i nostri peccati.

Cari Fratelli, tutto questo non viene da noi, ma da Dio. Dio è amore e compie tutto questo, se siamo docili all'azione del suo Santo Spirito. Ecco allora come dobbiamo essere: incardinati e docili. Più veniamo incardinati nella Chiesa che è in Roma e più dobbiamo diventare docili allo Spirito, perché la carità possa dare forma e senso a tutto ciò che siamo e che facciamo. Incardinati nella Chiesa che presiede nella carità, docili allo Spirito Santo che riversa nei nostri cuori l'amore di Dio (cfr Rm 5,5). Così sia".

Alla carità e al ruolo del cardinale aveva fatto riferimento, all'inizio del rito, il ringraziamento pronunciato, a nome di tutti i nuovi porporati, dal cardinale Dominique Mamberti, primo dei nominati, sostenendo, tra l'altro, che "appartenere alla Chiesa di Roma significa, dunque, servire la comunione della Chiesa universale. Una comunione che è continuamente nutrita e alimentata dalla carità stessa di Cristo - che ci spinge a vivere non più per noi stessi, ma per Lui che è morto e risorto per noi - ed è fecondata dal sangue dei molti martiri che qui hanno dato la vita. Il loro esempio e la loro intercessione ci diano la forza e il coraggio necessari per essere testimoni del Signore risorto fino ai confini della terra e per chinarci sulle ferite e sulle piaghe dell'uomo di oggi a portare la Sua misericordia".

I nuovi cardinali - tra i quali Pierre Nguyen Van Nhon di Hanoi, Charles Maung Bo di Yangon e Francis Xavier Kriengsak Khovitavanij di Bangkok - hanno giurato e, uno ad uno - tranne il cardinale José de Jesús Pimiento Rodríguez, arcivescovo emerito di Manizales (Colombia), assente a motivo dell'età - si sono inginocchiati davanti al Papa. A ognuno Francesco ha "imposto" la berretta (calcandola bene, così che nessuna è caduta, evitando un evento che una tradizione romana vuole annunciare cattiva fortuna), consegnato l'anello e assegnato il "titolo" o la diaconia di una chiesa di Roma, a indicare l'appartenenza del nuovo porporato alla Chiesa capitolina e quindi alla Chiesa universale.

 

 

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