21/12/2009, 00.00
VATICANO
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Papa: il mondo e gli uomini hanno bisogno di riconciliarsi con Dio, con se stessi, con il creato

Nell’incontro con la curia, Benedetto XVI ripercorre i momenti principali dell’anno. Il Sinodo per l’Africa. La Terra Santa simbolo di pace, “purtroppo non raggiunta”, luogo che mostra che “la fede non è un mito”. Il museo della Shoah, “incontro sconvolgente con la crudeltà della colpa umana”. “Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Riconciliazione, giustizia, pace. Sono necessità che il mondo contemporaneo sente, l’urgenza delle quali Benedetto XVI ha incontato nei suoi viaggi in Africa e in Terra Santa, ma delle quali hanno bisogno tutte le nazioni. Lo sguardo del Papa sull’anno che sta per finire, visto nell’ottica della vita della Chiesa - tema tradizionale dell’incontro con la curia romana per gli auguri di Natale - ha avuto oggi come punti focali le visite che egli ha compiuto in Africa, Terra Santa, Francia e Repubblica ceca. Un esame usualmente “ecclesiale”, visto che all’analisi della situazione mondiale viene dedicato il discorso al corpo diplomatico, appuntamento di inizio del nuovo anno.
 
Benedetto XVI ha particolarmente approfondito il tema della riconciliazione, necessaria ad ogni società, perché possa esserci la pace. “Riconciliazioni sono necessarie per una buona politica, ma non possono essere realizzate unicamente da essa. Sono processi pre-politici” che devono “scaturire da altre fonti”, in primo luogo dalla consapevolezza che si deve essere riconciliati con Dio e quindi con la creazione e con se stessi. E questo rilancia il tema della nuova evangelizzazione, il cui “primo passo” impone di “preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio”. Un compito che, nell’Anno sacerdotale, chiama in causa in primo luogo i consacrati.
 
“Per la Chiesa e per me personalmente, l’anno che si sta chiudendo è stato in gran parte nel segno dell’Africa”, sia per il viaggio in Camerun ed Angola, sia per e l’inaugurazione del Sinodo dell’Africa con la consegna dell’Instrumentum laboris, avvenuta in tale occasione.
 
Del viaggio Benedetto XVI ha evocato in modo particolare le liturgie, per le quali ha parlato di “vere feste della fede” delle quali ha evidenziato due elementi: “C’era innanzitutto una grande gioia condivisa, che si esprimeva anche mediante il corpo, ma in maniera disciplinata ed orientata dalla presenza del Dio vivente. Con ciò è già indicato il secondo elemento: il senso della sacralità, del mistero presente del Dio vivente”.
 
“Il Sinodo - ha proseguito - si era proposto il tema: La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. È questo un tema teologico e soprattutto pastorale di un’attualità scottante, ma poteva essere anche frainteso come un tema politico. Compito dei Vescovi era di trasformare la teologia in pastorale, cioè in un ministero pastorale molto concreto”.
“Ma in questo non si doveva cedere alla tentazione di prendere personalmente in mano la politica e da pastori trasformarsi in guide politiche. In effetti, la questione molto concreta davanti alla quale i pastori si trovano continuamente è, appunto, questa: come possiamo essere realisti e pratici, senza arrogarci una competenza politica che non ci spetta? Potremmo anche dire: si trattava del problema di una laicità positiva, praticata ed interpretata in modo giusto”. Questo, ha ricordato, è anche un tema fondamentale della Caritas in veritate.
 
“Il tema del Sinodo designa tre grandi parole fondamentali della responsabilità teologica e sociale: riconciliazione – giustizia – pace. Si potrebbe dire che riconciliazione e giustizia siano i due presupposti essenziali della pace e che quindi definiscano in una certa misura anche la sua natura”. Soffermandosi in particolare sulla riconciliazione,, Benedetto XVI ha osservato che “la pace può realizzarsi soltanto se si giunge ad una riconciliazione interiore”.
  
“Il Sinodo ha cercato di esaminare profondamente il concetto di riconciliazione come compito per la Chiesa di oggi, richiamando l’attenzione sulle sue diverse dimensioni”. La prima è con Dio. “Se l’uomo non è riconciliato con Dio, è in discordia anche con la creazione. Non è riconciliato con se stesso, vorrebbe essere un altro da quel che è ed è pertanto non riconciliato neppure con il prossimo. Fa inoltre parte della riconciliazione la capacità di riconoscere la colpa e di chiedere perdono – a Dio e all’altro. E infine appartiene al processo della riconciliazione la disponibilità alla penitenza, la disponibilità a soffrire fino in fondo per una colpa e a lasciarsi trasformare. E ne fa parte la gratuità”, “la disponibilità ad andare oltre il necessario, a non fare conti, ma ad andare al di là di ciò che richiedono le semplici condizioni giuridiche. Ne fa parte quella generosità di cui Dio stesso ci ha dato l’esempio” ed anche la gratutià, “la disponibilità a fare il primo passo. Per primi andare incontro all’altro, offrirgli la riconciliazione, assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione”.
 
“Riconciliazione è un concetto pre-politico e una realtà pre-politica, che proprio per questo è della massima importanza per il compito della stessa politica. Se non si crea nei cuori la forza della riconciliazione, manca all’impegno politico per la pace il presupposto interiore”. Ciò è vero in particolare per la Terra Santa.  “Tutto ciò che si può vedere in quei Paesi, invoca riconciliazione, giustizia, pace”. Nella rievocazione di quel pellegrinaggio, Benedetto XVI ha dedicato un ringraziamento particolarmente sentito al re di Giordania, del quale ha sottolineato “la maniera esemplare con cui egli si impegna per la convivenza pacifica tra cristiani e musulmani, per il rispetto nei confronti della religione dell’altro e per la collaborazione nella comune responsabilità davanti a Dio”.
 
Significative anche le parole dedicate al museo dell’Olocausto. “La visita a Yad Vashem – ha detto - ha significato un incontro sconvolgente con la crudeltà della colpa umana, con l’odio di un’ideologia accecata che, senza alcuna giustificazione, ha consegnato milioni di persone umane alla morte e che con ciò, in ultima analisi, ha voluto cacciare dal mondo anche Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e il Dio di Gesù Cristo. Così questo è in primo luogo un monumento commemorativo contro l’odio, un richiamo accorato alla purificazione e al perdono, all’amore. Proprio questo monumento alla colpa umana ha reso poi tanto più importante la visita ai luoghi della memoria della fede e ha fatto percepire la loro inalterata attualità”.
 
E Betlemme, la città dove nacque Gesù, “purtroppo, ai nostri giorni, non rappresenta una pace raggiunta e stabile, ma una pace faticosamente ricercata ed attesa”. Poi il Papa, che ieri aveva affermato che “il Natale non è una  favola per i bambini”, oggi, nel ricordo dei luoghi legati alla vita di Gesù ha detto che “la fede non è un mito. È storia reale, le cui tracce possiamo toccare con mano. Questo realismo della fede ci fa particolarmente bene nei travagli del presente. Dio si è veramente mostrato. In Gesù Cristo Egli si è veramente fatto carne”.
 
Di qui, il tema della nuova evangelizzazione, per il quale ha preso spunto dal ricordo della visita nella Repubblica ceca. “Prima di tale viaggio sono sempre stato avvertito che quello è un Paese con una maggioranza di agnostici e di atei”. “Tanto più gioiosa è stata la sorpresa nel costatare che dappertutto ero circondato da grande cordialità ed amicizia; che grandi liturgie venivano celebrate in un’atmosfera gioiosa di fede; che nell’ambito delle università e della cultura la mia parola trovava una viva attenzione”. “Ma considero importante soprattutto il fatto che anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi”. “Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde”.
 
Di qui l’idea che la Chiesa abbia luoghi di incontro “dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto”.
 
 
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