12/09/2009, 00.00
VATICANO
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Papa: il vescovo, “servo fedele” di Dio, che lavora per la comunità, non per se stesso

Benedetto XVI ordinando cinque nuovi vescovi sottolinea le caratteristiche dell’episcopato. “Come i 72 discepoli mandati dal Signore, egli deve essere uno che porta guarigione, che aiuta a risanare la ferita interiore dell’uomo, la sua lontananza da Dio”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Un uomo di fede, che non pensa al proprio interesse né alle mode del tempo, di “prudenza”, che cerca la verità, cioé Cristo, di bontà, quindi internamente orientato verso Dio. Sono le caratteristiche del “servo fedele”, l’immagine del quale è stata indicata da Benedetto XVI quale modello del vescovo nel corso del rito durante il quale, stamattina in San Pietro, ha compiuto cinque ordinazioni episcopali.
 
A ricevere il mandato cinque sacerdoti, tra i quali i due ex sottosegretari della Segreteria di Stato. mons. Gabriele Giordano Caccia, nominato nunzio in Libano e mons. Pietro Parolin, nuovo nunzio in Venezuela. Con loro mons. Franco Coppola, nominato nunzio in Burundi, mons. Raffaello Martinelli, eletto vescovo di Frascati e mons. Giorgio Corbellini, nominato presidente dell’Ufficio del lavoro della Sede Apostolica.
 
 “Il consacrato – nelle parole del Papa - deve essere colmato dello Spirito di Dio e vivere a partire da Lui. Deve portare ai poveri il lieto annunzio, la vera libertà e la speranza che fa vivere l’uomo e lo risana”. “Come i 72 discepoli mandati dal Signore, egli deve essere uno che porta guarigione, che aiuta a risanare la ferita interiore dell’uomo, la sua lontananza da Dio. Il primo ed essenziale bene di cui abbisogna l’uomo è la vicinanza di Dio stesso. Il regno di Dio, di cui si parla nel brano evangelico di oggi, non è qualcosa ‘accanto’ a Dio, una qualche condizione del mondo: è semplicemente la presenza di Dio stesso, che è la forza veramente risanatrice”.
 
Gesù, ha proseguito il Papa, ha riassunto “tutti i molteplici aspetti del suo Sacerdozio nell’unica frase: ‘Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti’ (Mc 10, 45). Servire e in ciò donare se stessi; essere non per se stessi, ma per gli altri, da parte di Dio e in vista di Dio: è questo il nucleo più profondo della missione di Gesù Cristo e, insieme, la vera essenza del suo Sacerdozio. Così, Egli ha reso il termine ‘servo’ il suo più alto titolo d’onore. Con ciò ha compiuto un capovolgimento dei valori, ci ha donato una nuova immagine di Dio e dell’uomo”.
 
“La prima caratteristica, che il Signore richiede dal servo, è la fedeltà. Gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene. La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introduciamo nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità. La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati. Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità”. “In greco, la parola che indica "fedeltà" coincide con quella che indica "fede". La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa. Il padrone rimprovera il servo, che aveva nascosto sottoterra il bene consegnatogli per evitare ogni rischio. Con questa apparente fedeltà il servo ha in realtà accantonato il bene del padrone, per potersi dedicare esclusivamente ai propri affari. Fedeltà non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo.
 
“La seconda caratteristica, che Gesù richiede dal servo, è la prudenza”. Essa “è una cosa diversa dall’astuzia”, “indica il primato della verità, che mediante la ‘prudenza’ diventa criterio del nostro agire. La prudenza esige la ragione umile, disciplinata e vigilante, che non si lascia abbagliare da pregiudizi; non giudica secondo desideri e passioni, ma cerca la verità – anche la verità scomoda. Prudenza significa mettersi alla ricerca della verità ed agire in modo ad essa conforme. Il servo prudente è innanzitutto un uomo di verità e un uomo dalla ragione sincera”.
 
La terza caratteristica di cui Gesù parla nelle parabole del servo è la bontà”. “Buono in senso pieno è solo Dio. Egli è il Bene, il Buono per eccellenza, la Bontà in persona. In una creatura – nell’uomo – l’essere buono si basa pertanto necessariamente su un profondo orientamento interiore verso Dio. La bontà cresce con l’unirsi interiormente al Dio vivente. La bontà presuppone soprattutto una viva comunione con Dio, una crescente unione interiore con Lui. E di fatto: da chi altri si potrebbe imparare la vera bontà se non da Colui, che ci ha amato sino alla fine, sino all’estremo (cfr Gv 13, 1)? Diventiamo servi buoni mediante il nostro rapporto vivo con Gesù Cristo. Solo se la nostra vita si svolge nel dialogo con Lui, solo se il suo essere, le sue caratteristiche penetrano in noi e ci plasmano, possiamo diventare servi veramente buoni”.
 
 
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