04/05/2011, 00.00
VATICANO
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Papa: l’uomo ha sempre pregato, ma pregare è “un’arte” da acquisire

Benedetto XVI ha iniziato oggi un ciclo di catechesi dedicato alla preghiera. Come “introduzione” ha illustrato il senso del rivolgersi agli dei nelle culture più antiche, precristiane: dall’Egitto, alla Mesopotamia, dalla Grecia, a Roma. In esse c’è “una testimonianza della dimensione religiosa e del desiderio di Dio iscritto nel cuore di ogni uomo”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – L’uomo ha sempre pregato, a “testimonianza della dimensione religiosa iscritta nel cuore di ogni uomo”, prega “perché non può fare a meno di chiedersi quale sia il senso della sua esistenza, che rimane oscuro e sconfortante, se non viene messo in rapporto con il mistero di Dio e del suo disegno sul mondo”. Ma se si è sempre pregato, ancora oggi “occorre imparare a pregare”, perché la preghiera “non va mai data per scontata” e anche i maestri della vita spirituale devono sempre imparare e rinnovare “questa arte”. Lo ha detto oggi Benedetto XVI, annunciando alle 40mila persone presenti all’udienza generale in piazza san Pietro l’inizio di un ciclo di catechesi che saranno quasi una “scuola di preghiera”.
 
In questo cammino, “riceviamo la prima lezione dal Signore, attraverso il Suo esempio. I Vangeli ci descrivono Gesù in dialogo intimo e costante con il Padre: è una comunione profonda di colui che è venuto nel mondo non per fare la sua volontà, ma quella del Padre, che lo ha inviato per la salvezza dell’uomo”.
 
Ma l’esame del Papa è cominciato oggi, “come introduzione”, con le culture più antiche: dall’Egitto un cieco chiede alla divinità di restituirgli la vista. E’ “una pura preghiera di domanda di chi si trova nella sofferenza: Che io ti veda, china su di me il tuo volto”.
 
In Mesopotamia “dominava un senso di colpa arcano e paralizzante, non privo, però, della speranza di riscatto e liberazione da parte di Dio”, come mostra una supplica che dice “O Dio che sei indulgente anche nella colpa più grave, assolvi il mio peccato... Guarda, Signore, al tuo servo spossato, e soffia la tua brezza su di lui: senza indugio perdonagli. Allevia la tua punizione severa”. “Sono espressioni che dimostrano che l’uomo, nella sua ricerca di Dio, ne abbia intuito, sia pur confusamente”, anche “aspetti di misericordia e di bontà divina”.  
Nell’antica Grecia c’è una evoluzione: “le preghiere, pur continuando a invocare l’aiuto divino per ottenere il favore celeste in tutte le circostanze della vita quotidiana e per conseguire dei benefici materiali, si orientano progressivamente verso le richieste più disinteressate, che consentono all’uomo credente di approfondire il suo rapporto con Dio e di diventare migliore. Per esempio, il grande filosofo Platone riporta una preghiera del suo maestro, Socrate, ritenuto giustamente uno dei fondatori del pensiero occidentale: ‘Fate che io sia bello di dentro. Che io ritenga ricco chi è sapiente e che di denaro ne possegga solo quanto ne può prendere e portare il saggio. Non chiedo di più”. E in quei “capolavori della letteratura di tutti i tempi che sono le tragedie greche”, sono contenute delle “preghiere che esprimono il desiderio di conoscere Dio e di adorare la sua maestà. Una di queste recita così: ‘Sostegno della terra, che sopra la terra hai sede, chiunque tu sia, difficile a intendersi, Zeus, sia tu legge di natura o di pensiero dei mortali, a te mi rivolgo: giacché tu, procedendo per vie silenziose, guidi le vicende umane secondo giustizia’”.
 
Nei romani “la preghiera, anche se associata a una concezione utilitaristica e fondamentalmente legata alla richiesta della protezione divina sulla vita della comunità civile, si apre talvolta a invocazioni ammirevoli per il fervore della pietà personale, che si trasforma in lode e ringraziamento”. Ne è testimonianza Apuleio che nei suoi scritti “manifesta l’insoddisfazione dei contemporanei nei confronti della religione tradizionale e il desiderio di un rapporto più autentico con Dio”. Nelle Metamorfosi, un credente si rivolge a una divinità femminile con queste parole: ‘Tu sì sei santa, tu sei in ogni tempo salvatrice dell’umana specie, tu, nella tua generosità, porgi sempre aiuto ai mortali, tu offri ai miseri in travaglio il dolce affetto che può avere una madre’”. E l’imperatore Marco Aurelio, che era pure filosofo, “afferma la necessità di pregare per stabilire una cooperazione fruttuosa tra azione divina e azione umana. Scrive nei suo Ricordi: ‘Chi ti ha detto che gli dèi non ci aiutino anche in ciò che dipende da noi? Comincia dunque a pregarli, e vedrai’”.
 
In questi esempi delle diverse epoche e civiltà “emerge la consapevolezza che l’essere umano ha della sua condizione di creatura e della sua dipendenza da un Altro a lui superiore e fonte di ogni bene. L’uomo di tutti i tempi prega perché non può fare a meno di chiedersi quale sia il senso della sua esistenza, che rimane oscuro e sconfortante, se non viene messo in rapporto con il mistero di Dio e del suo disegno sul mondo. La vita umana è un intreccio di bene e male, di sofferenza immeritata e di gioia e bellezza, che spontaneamente e irresistibilmente ci spinge a chiedere a Dio quella luce e quella forza interiori che ci soccorrano sulla terra e dischiudano una speranza che vada oltre i confini della morte”.
 
Negli esempi di preghiera delle varie culture, ha concluso il Papa, “possiamo vedere una testimonianza della dimensione religiosa e del desiderio di Dio iscritto nel cuore di ogni uomo, che ricevono compimento e piena espressione nell’Antico e nel Nuovo Testamento. La Rivelazione, infatti, purifica e porta alla sua pienezza l’anelito originario dell’uomo a Dio, offrendogli, nella preghiera, la possibilità di un rapporto più profondo con il Padre celeste”.
 
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