12/09/2008, 00.00
VATICANO
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Papa: “cercare Dio” resta il fondamento di ogni cultura

Nel primo giorno del suo viaggio in Francia, Benedetto XVI parlando al mondo della cultura afferma che la libertà non è solo come la mancanza totale di legami, come oggi si tende a pensare, favorendo con ciò “inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio”. Nell’essere espressione del Logos, della Ragione, la Bibbia, “secondo la sua natura esclude tutto ciò che oggi viene chiamato fondamentalismo”.
Parigi (AsiaNews) - Una società che rinuncia a “cercare Dio”, rinuncia con ciò stesso alle possibilità più alte della ragione, va verso un “tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi”. Per la cultura europea è l’abbandono di ciò che l’ha fatta grande e che trae origine da quel monachesimo che ha salvato e diffuso la lettura, la scrittura, la musica, l’architettura e, soprattutto, la volontà di ricercare il fine ultimo, superando le cose “penultime”. Ed è al tempo stesso un modo per comprendere che la libertà non è solo come la mancanza totale di legami, come oggi si tende a pensare, favorendo con ciò “inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio. Mancanza di legame e arbitrio non sono la libertà, ma la sua distruzione”.
 
E’ una lezione di storia del monachesimo e dei perché del suo ruolo fondatore della cultura europea il lungo e articolato discorso che Benedetto XVI ha fatto oggi pomeriggio a 700 esponenti della cultura francese ed europea, incontrati nel primo giorno del suo viaggio in Francia. Ad ascoltarlo, nel restaurato storico Collège des Bernardins, anche rappresentanti dell’Unesco e della comunità musulmana francese.
 
Il Papa ha dichiaratamente affrontato il tema delle radici della cultura europea, ma non si è trattato della dotta lezione di un grande teologo - quale egli indubbiamente è - ma di un invito a riflettere sulla necessità di riprendere una strada che porta a riconoscere il valore che anche per la cultura del mondo moderno ha quel “cercare Dio” che era la molla profonda dell’agire dei monaci.
 
Al monachesimo occidentale tutti riconoscono il merito di aver fatto sopravvivere la cultura antica. Far ciò ha richiesto la costruzione di una cultura della parola ed anche della biblioteca, della scuola, della musica, dell’architettura, in complesso di una nuova cultura. Ma, “per sua natura”, il monachesimo non aveva tale obiettivo. “Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile”, “il definitivo”.
 
Nella loro ricerca avevano già una guida: Dio stesso aveva parlato, nelle Scritture. E “poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi. Così, proprio a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua”.
 
Per capire la cultura della parola, ha detto poi il Papa, “occorre fare almeno un breve cenno alla particolarità del Libro o dei Libri in cui questa Parola è venuta incontro ai monaci. La Bibbia, vista sotto l’aspetto puramente storico o letterario, non è semplicemente un libro, ma una raccolta di testi letterari, la cui stesura si estende lungo più di un millennio e i cui singoli libri non sono facilmente riconoscibili come appartenenti ad un’unità interiore; esistono invece tensioni visibili tra di essi.
Ciò vale già all’interno della Bibbia di Israele, “vale tanto più quando noi, come cristiani, colleghiamo il Nuovo Testamento e i suoi scritti, quasi come chiave ermeneutica, con la Bibbia di Israele, interpretandola così come via verso Cristo”. In altri termini, “l’unità dei libri biblici e il carattere divino delle loro parole non sono, da un punto di vista puramente storico, afferrabili. L’elemento storico è la molteplicità e l’umanità”. “In modo più semplice: la Scrittura ha bisogno dell’interpretazione, e ha bisogno della comunità in cui si è formata e in cui viene vissuta. In essa ha la sua unità e in essa si dischiude il senso che tiene unito il tutto”.
 
Il cristianesimo insomma “non è semplicemente una religione del libro nel senso classico. Il cristianesimo percepisce nelle parole la Parola, il Logos stesso, che estende il suo mistero attraverso tale molteplicità. Questa struttura particolare della Bibbia è una sfida sempre nuova per ogni generazione. Secondo la sua natura essa esclude tutto ciò che oggi viene chiamato fondamentalismo. La Parola di Dio stesso, infatti, non è mai presente già nella semplice letteralità del testo. Per raggiungerla occorre un trascendimento e un processo di comprensione, che si lascia guidare dal movimento interiore dell’insieme e perciò deve diventare anche un processo di
vita. Sempre e solo nell’unità dinamica dell’insieme i molti libri formano un Libro, si rivelano nella parola e nella storia umane la Parola di Dio e l’agire di Dio nel mondo”.
 
Benedetto XVI ha poi rilevato come del monachesimo “fa parte, insieme con la cultura della parola, una cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione del mondo sono impensabili. Questo ethos dovrebbe però includere la volontà di far sì che il lavoro e la determinazione della storia da parte dell’uomo siano un collaborare con il Creatore, prendendo da Lui la misura. Dove questa misura viene a mancare e l’uomo eleva se stesso a creatore deiforme, la formazione del mondo può facilmente trasformarsi nella sua distruzione. Siamo partiti dall’osservazione che, nel crollo di vecchi ordini e sicurezze, l’atteggiamento di fondo dei monaci era il quaerere Deum – mettersi alla ricerca di Dio. Potremmo dire che questo è l’atteggiamento veramente filosofico: guardare oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime, vere”.
 
“Il cercare dei monaci, sotto certi aspetti, porta in se stesso già un trovare. Occorre dunque, affinché questo cercare sia reso possibile, che in precedenza esista già un primo movimento che non solo susciti la volontà di cercare, ma renda anche credibile che in questa Parola sia nascosta la via – o meglio: che in questa Parola Dio stesso si faccia incontro agli uomini e perciò gli uomini attraverso di essa possano raggiungere Dio. Con altre parole: deve esserci l’annuncio che si rivolge all’uomo creando così in lui una convinzione che può trasformarsi in vita. Affinché si apra una via verso il cuore della Parola biblica quale Parola di Dio, questa stessa Parola deve prima essere annunciata verso l’esterno”. “Di fatto, i cristiani della Chiesa nascente non hanno considerato il loro annuncio missionario come una propaganda, che doveva servire ad aumentare il proprio gruppo, ma come una necessità intrinseca che derivava dalla natura della loro fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con ciò la risposta che riguardava tutti e che, nel loro intimo, tutti gli uomini attendono. L’universalità di Dio e l’universalità della ragione aperta verso di Lui costituivano per loro la motivazione e insieme il dovere dell’annuncio. Per loro la fede non apparteneva alla consuetudine culturale, che a seconda dei popoli è diversa, ma all’ambito della verità che riguarda ugualmente tutti”.
 
Il più profondo del pensiero e del sentimento umani sa in qualche modo che Egli deve esistere. Che all’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa; non il cieco caso, ma la libertà. Tuttavia, malgrado che tutti gli uomini in qualche modo sappiano questo – come Paolo sottolinea nella Lettera ai Romani (1, 21) – questo sapere rimane irreale: un Dio soltanto
pensato e inventato non è un Dio. Se Egli non si mostra, noi comunque non giungiamo fino a Lui. La cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti i popoli: Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui. La novità dell’annuncio cristiano consiste in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, ma un fatto che, esso stesso, è Logos – presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est (Gv 1,14): proprio così nel fatto ora c’è il Logos, il Logos presente in mezzo a noi. Il fatto è ragionevole. Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio”.
 
La situazione di oggi, sotto molti aspetti, è diversa da quella di un tempo, tuttavia, in molte cose anche assai analoga. “Le nostre città non sono più piene di are ed immagini di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto. Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui. Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”.
 
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