29/03/2012, 00.00
LIBANO
Invia ad un amico

Patriarca Raï: Il Libano si sgretola, salvate la sua convivenza e il pluralismo

di Fady Noun
Béchara Raï – al primo anno di patriarcato – rinnova l’invito a potenziare il patto nazionale fra le diverse anime del Paese. Le divisioni ideologiche e i lasciti della guerra civile acuiscono le crisi sociali.

Beirut (AsiaNews) - Polarizzate da ogni sorta di crisi e di avversità, le comunità libanesi sembrano scivolare via lentamente le une dalle altre, allontanandosi a poco a poco dal patto del 1920 che ha accompagnato la nascita del Grande Libano e di quello del 1943, che ha rappresentato un fattore politico di neutralità positiva nei confronti della Siria e della Francia. Sensibile a questa deriva, il patriarca maronita Béchara Raï - che ha da poco celebrato il primo anno del suo patriarcato - non si stanca mai di invitare le comunità libanesi a rinnovare, attualizzandolo, il loro patto nazionale.

Per comprendere appieno il senso delle parole del patriarca è necessario chiarire due elementi di ambiguità. Il suo appello è stato interpretato da taluni come un invito a ripensare l'equilibrio politico-comunitario in Libano. Altri hanno temuto che questa iniziativa finisse per incentivare la comunità sciita a reclamare un maggiore potere politico, proporzionale alla sua importanza numerica relativa. Va da sé che non è affatto questo l'obiettivo del patriarca, legato al principio della uguaglianza fra cristiani e musulmani in Parlamento e nelle più alte cariche dello Stato; un principio, questo, sancito dall'accordo di Taëf del 1990 e ratificato dalla Costituzione.

Nel monito del patriarca vi è un'altra ambiguità, più sottile, che va ugualmente evidenziato. Lanciando un appello per un nuovo patto nazionale, Béchara Raï sembra rivolgersi direttamente alla coscienza dei vari attori politici in quanto comunità, piuttosto che alla loro coscienza civica o politica. In una certa maniera, questo appello può sembrare anacronistico perché chiede alle comunità di ricollegarsi ad una coscienza personale precedente all'Indipendenza e al movimento di integrazione nazionale che ne è scaturito, in un arco tempo lungo sette decenni.

In realtà, nonostante le apparenze, il richiamo del patriarca Raï è quanto di più realistico vi sia. Alla base di questo appello, vi è la constatazione di un indebolimento della volontà di vivere assieme, fra le comunità libanesi che risale alla guerra del 1975-1990. Ma questa volontà è, insieme al territorio, il nervo scoperto dell'esistenza di tutta la nazione. È dunque compito del capo della Chiesa maronita, che è stato e resta il motore storico della coscienza nazionale libanese, quello di spronare le comunità a far rivivere il desiderio di convivenza comune, che ha caratterizzato la nascita del Libano fra il 1920 e il 1943, e a non anteporre le divergenze ideologiche al di sopra di questa volontà.

Perché, in effetti, noi le deriviamo le une dalle altre, lentamente, per ragioni legate tanto all'identità profonda di ciascuno, quanto all'attualità politica. La guerra civile ha provocato, che lo si voglia o no, prese di posizione identitarie che hanno indotto delle pieghe nuove e delle divisioni culturali, ivi comprese quelle di natura territoriale. Ciascuna comunità ha i propri quartieri, i propri costumi, gli spazi per il tempo libero. I nostri deputati si sorridono e si salutano in Parlamento, ma la sera - a casa propria - ciascuno torna alla sua comunità di appartenenza, ai suoi valori, il decoro, i riflessi. Fortunatamente, queste pieghe non sono affatto esclusive. Gli spazi di commistione fra comunità continuano a funzionare: al lavoro, nei servizi pubblici, a scuola. Ma i loro effetti sono attutiti da forze contrarie, soprattutto a livello politico.

Uno degli elementi di divisione più importanti resta il settore politico. Infatti, trasmesse e amplificate da un panorama mediatico improntato all'anarchia, ideologie politiche contrarie si contendono la sfera politica, e noi le sfruttiamo con astuzia le une contro le altre, per farle trionfare. Il risultato di questa prova di forza, in parte sconosciuto, determinerà il Libano al quale apparterremo in futuro: quello degli statunitensi o degli europei, degli iraniani o dei siriani, dei sunniti o degli sciiti, delle Forze libanesi o degli Aounisti... La deriva cui stiamo assistendo, conduce a una sorta di rottura e disgregazione delle istituzioni, di natura composita, politica e comunitaria. Essa trasforma i servizi pubblici, le università, gli uffici, i fondi, in altrettanti spazi esclusivi quasi fossero "manti erbosi", dai quali sono escluse le altre comunità o le altre forze politiche.

Queste derive culturali e politiche sono ben concrete ed è contro di loro che il patriarca lancia moniti su moniti. Ai suoi occhi è come se i libanesi giocassero la sorte del loro Paese ai dadi, incuranti non solo della perversione di questo gioco - amplificata fra l'altro dai media - ma anche dalle prove quotidiane della popolazione, le cui priorità sono sacrificate sull'altare delle divergenze ideologiche, fattore che contribuisce ad amplificare le crisi sociali.

Riscoprire la nostra volontà di vivere in comune, o riaffermarla, è un'impresa esaltante, ma difficile. Se gli attori politici appaiono incapaci di reagire alle forze centripete che indeboliscono la volontà di vivere in comune dei libanesi, è necessario almeno che l'élite intellettuale unisca la propria voce a quella del patriarca maronita, e far sì che il suo appello vada a buon fine. Uno dei settori in cui questa azione riconciliatrice dei libanesi può avere successo è quella della memoria comune. Il Libano si sta risollevando da una guerra civile che non ha saputo né portarlo al collasso, né alla sua annessione o spartizione. La recente controversia divampata proprio su questo periodo della nostra storia, che i partiti e le comunità interpretano ciascuno a modo proprio, fa capire che la guerra è ben lontana dall'essere un mero episodio del passato. Essa continua ad albergare in noi e a corroderci da dentro. E noi non abbiamo ancora saputo imparare la lezione.

Dobbiamo renderci conto che è proprio questa una delle cause fondamentali dell'indebolimento della nostra volontà di vivere insieme. Ciascun settore - è normale - è ancora attaccato in modo viscerale alla propria causa, e la guerra militare che ha devastato il Libano continua imperterrita ancora oggi, attraverso mezzi politici. Per qualcuno, la guerra è in primo luogo quella della resistenza alla presenza armata dei palestinesi, che ne ha contraddistinto l'inizio, poi è subentrato l'esercito siriano. Certi altri, ritengono che la gloriosa fase di resistenza all'armata israeliana oscuri tutte le altre. Altri ancora nel 14 marzo non vedono nient'altro che un avvenimento sporadico e la rivoluzione dei Cedri, conclusa con la partenza dell'esercito siriano dal Libano nel 2005, un evento che si inserisce nel contesto strategico elaborato a livello regionale dagli Stati Uniti.

La nostra vita politica continua dunque a essere impregnata da sottintesi che richiamano alla guerra. Continuiamo a cercare la vittoria sulla fazione avversa, anche a costo dell'indebolimento generale del Libano, che ben sappiamo essere la casa di tutti noi: in definitiva, la nostra patria. Ecco il dramma che viviamo, ecco il dramma che vive il patriarca, testimone quotidiano di questa lenta agonia; e per uscirne, per ritrovare la volontà di vivere in comune, è indispensabile fare un esercizio della memoria.

Sì, la storia contemporanea del Libano dev'essere ancora scritta, ma il libro della storia deve anche tenere contro delle devastazioni che questa guerra ha causato, non solo delle sue "glorie". E questo libro non deve occultare i crimini di guerra, né la cecità che ci ha trascinato in questa guerra civile. Al contrario, è necessario un lavoro di memoria e di riconciliazione che i libanesi non hanno ancora compiuto, se non in maniera molto timida. Ancor prima di parlare delle armi di Hezbollah, i libanesi devono sedersi allo stesso tavolo del dialogo, e riconciliare la loro memoria in un modo o nell'altro. Riconciliare la loro memoria, in modo che possano nuovamente guardare a un futuro comune.

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Arcivescovo di Semarang: preghiere e digiuno, per vivere la Quaresima del Signore
11/03/2011
Vescovo di Damasco: la Siria, una barca che rischia il naufragio
13/02/2021 08:00
Mons. Sako: Cristiani in Iraq, “non abbiate paura” di celebrare la Pasqua
29/03/2012
Mons. Warduni: I cristiani irakeni si preparano alla Pasqua. Il governo assicura maggiore sicurezza
03/04/2012
Dai cristiani pakistani ‘digiuno e preghiera’ contro disordini e violenze
07/03/2024 08:40


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”