05/02/2020, 08.49
LIBANO
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Patriarca maronita: no a denaro e incentivi per la naturalizzazione dei rifugiati

Il card Raï torna ad attaccare la comunità internazionale che vuole scaricare la questione dei rifugiati siriani e palestinesi sulle spalle del Paese. Egli non nasconde il “pericolo” di una ulteriore “frattura” fra libanesi, in un contesto di forte tensione. Al contempo chiede di mostrare “unità” di fronte a pressioni straniere. 

Beirut (AsiaNews/Agenzie) - Nuovo monito del patriarca maronita, il cardinale Beshara Raï, contro una comunità mondiale che vuole scaricare la questione dei rifugiati palestinesi e siriani sul Libano, offrendo un contributo finanziario in cambio della loro naturalizzazione. “Respingiamo al mittente - ha sottolineato ieri il porporato - ogni tipo di politica internazionale che tenti di appesantire il Libano, con il prezzo di tutto quello che sta accadendo nella regione”. 

Il “pericolo”, prosegue il patriarca Raï, consiste “in una frattura fra i libanesi” nel caso in cui dovesse subentrare un processo di naturalizzazione. Al contempo, egli si rivolge ai propri concittadini chiedendo loro di mostrare “unità” di fronte a qualsiasi pressione esterna e straniera. “Il Libano non può sopportare - conclude il patriarca - l’onere di una nuova politica” che trova la sua massima espressione nel cosiddetto “Accordo del secolo”, il quale avrà “ripercussioni negative” per tutto il Medio oriente.

Negli ultimi anni anche la Chiesa libanese aveva denunciato a più riprese il pericolo di una gravissima crisi economica, politica e sociale per il Paese, legata alla presenza dei profughi siriani che finiranno per essere “dimenticati come i libanesi”. Nel momento di maggiore criticità, il Paese dei cedri aveva accolto circa 1,5 milioni di persone in fuga da guerra e povertà, a fronte di una popolazione di circa 4,4 milioni di abitanti.

La questione rifugiati si inserisce inoltre in un contesto di profonda turbolenza nel Paese dei cedri. Le proteste antigovernative hanno registrato una escalation verso metà dicembre, e nemmeno la recente nomina del nuovo esecutivo - vacante dal 29 ottobre - è bastato a calmare la piazza. A più riprese patriarchi e vescovi hanno richiamato, invano, la classe dirigente al senso di responsabilità e all’urgenza di definire una guida per un Paese che rischia sempre più di sprofondare.

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