21/04/2008, 00.00
CINA - TIBET
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Pechino ordina la rieducazione politica per i comunisti del Tibet

Il governo centrale teme nuove rivolte e costringe i quadri comunisti della regione a due mesi di sessioni di auto-critica e denuncia organizzata. La militarizzazione ed il bando agli ingressi sottolineano il timore di Pechino, che non ha il controllo della situazione. Continua la repressione nell’area tibetana: almeno 105 arresti.
Lhasa (AsiaNews) – Il Partito comunista cinese lancia una campagna di rieducazione politica per i quadri governativi della Regione autonoma del Tibet, nel tentativo di soffocare sul nascere ogni sentimento indipendentista e qualsiasi apertura al Dalai Lama. Lo annuncia il Tibet Daily, quotidiano governativo, che spiega: “La campagna, della durata di due mesi, mira a combattere il separatismo, proteggere la stabilità e promuovere lo sviluppo”.
 
Per raggiungere lo scopo, la rieducazione “sarà incentrata sull’unificazione del pensiero e della forza coesiva delle masse e dei dirigenti, per approfondire la battaglia contro il separatismo e rispondere agli attacchi della cricca del Dalai”. I membri del Partito parteciperanno alla visione comune di programmi televisivi ed a sessioni di auto-critica e denuncia organizzata.
 
Diversi analisti sottolineano che la decisione di rieducare i vertici comunisti del Tibet a più di un mese dall’inizio delle proteste di Lhasa vuol dire che la linea politica ufficiale sulla regione non è compatta. L’aumento delle forze armate nella regione, il bando sul turismo e quello sugli ingressi nella regione (anche dalla stessa Cina) dimostrano che il Partito teme una nuova rivolta organizzata e soprattutto una possibile intesa fra le autorità locali ed il Dalai Lama.
 
Da parte sua, il capo sirituale e politio del buddismo tibetano ha condannato le violenze di queste settimane ed ha più volte espresso il suo appoggio alle Olimpiadi, ma ha denunciato il “genocidio culturale” che avviene in Tibet ed ha dichiarato di “non poter più fare altre concessioni” a Pechino. Il governo centrale ha risposto definendolo “un esiliato insignificante”.
 
Nel frattempo, non si ferma la repressione in Tibet e nelle province cinesi confinanti. Secondo alcune fonti locali, raccolte da Radio Free Asia, la polizia del Qinghai (parte centro-occidentale della Cina) ha arrestato negli ultimi giorni 105 persone. Fra queste vi sono sia manifestanti che intellettuali, “colpevoli” di aver espresso il loro sostegno alla causa tibetana.
 
Stessa situazione nel Sichuan, dove gli agenti controllano a sorpresa i monasteri e le abitazioni private in cui vivono i nativi tibetani. Secondo un agente di viaggi, è “difficile” accedere ad alcuni templi buddisti della zona, controllati a vista da poliziotti e membri dell’Ufficio affari religiosi.
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