06/12/2005, 00.00
Cina – onu
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Pechino respinge l'inchiesta Onu sulle torture, "superficiale e poco obiettiva"

Il portavoce del ministero degli Esteri accusa l'investigatore Onu sulle torture di "poca obiettività" e ricorda che "la tortura è bandita nel Paese". Diverse testimonianze dicono il contrario.

Pechino (AsiaNews) – La Cina "non può accettare la cosiddetta conclusione secondo cui le torture nel Paese sono diffuse". Con queste parole Qin Gang, portavoce del ministero cinese degli Esteri, rigetta oggi il rapporto sulle carceri cinesi firmato da Manfred Nowak, investigatore capo dell'Agenzia Onu sulle torture.

"Nowak è stato qui per 2 brevi settimane – spiega il portavoce - ed ha visitato solo 3 città prima di definire 'diffuse' le torture in Cina. Questo evidenzia una mancanza di obiettività e non si accorda con la realtà". Qin aggiunge che la tortura "è bandita dal Paese" e ricorda che "Pechino ha emanato delle leggi severe che puniscono i poliziotti che torturano i prigionieri".

Dopo la sua visita alle carceri cinesi, la prima concordata tra Pechino e Ginevra in oltre 10 anni, Nowak sostiene che diverse persone che voleva visitare "sono state intimidite da personale della pubblica sicurezza, poste sotto sorveglianza della polizia, ammonite a non incontrare l'investigatore Onu, o impedite in modo fisico ad incontrarmi". "Ho riscontrato - prosegue - un palpabile stato di paura e di auto-censura nei detenuti che ho sentito".

Per raccogliere notizie Nowak è stato in Tibet e nello Xinjiang, regioni in cui è nota la violenza della polizia contro i cittadini accusati di separatismo, ma "non ha avuto il tempo" di recarsi nello Shandong, "patria" delle torture contro milioni di praticanti della Falun Gong [movimento spirituale che Pechino ha definito 'setta malvagia' e cerca di schiacciare con violenze sistematiche, ndr].

L'investigatore Onu non ha poi fatto cenno nel suo rapporto alle torture che vengono compiute negli ospedali psichiatrici dove vengono rinchiusi i dissidenti politici.

"E' arrivato il momento per i leader cinesi – scrive Human Rights Watch in un documento – di decidere che la strada per la modernizzazione passa anche attraverso l'abolizione di pratiche barbariche come l'uso di trattamenti e farmaci psichiatrici per persone che hanno opinioni politiche diverse dalle loro".

Il documento è stato pubblicato agli inizi di novembre, in occasione del rilascio di Wang Wanxing, un lavoratore di 56 anni residente a Pechino. Wang era stato arrestato il 3 giugno 1992 (terzo anniversario del massacro di Tiananmen) per aver cercato di esporre sulla piazza un cartello con cui chiedeva al Partito comunista di cambiare il giudizio sul movimento democratico. Dopo l'arresto Wang era stato rinchiuso nell'Ankang Hospital, struttura psichiatrica gestita dalla pubblica sicurezza, dove i medici lo hanno ricoverato per "sintomi paranoici". Il dissidente ha parlato di dottori di natura "sadica" e ha spiegato che il personale medico usava l'elettroshock per trattare i casi più difficili, obbligando gli altri internati ad assistere alle cure-torture.

La Cina ha la maggiore popolazione carceraria del mondo e ogni anno firma oltre il 90% delle esecuzioni capitali nel mondo. Sono frequenti le accuse contro Pechino per l'utilizzo di confessioni estorte. Lo scorso aprile fu riconosciuto innocente un uomo, She Xianglin, condannato all'ergastolo per l'omicidio della moglie. La donna, invece, era scappata: She disse che aveva confessato il delitto sotto tortura. A giugno una donna è tornata dopo che il suo presunto assassino, Teng Xingshan, era stato giustiziato, nonostante le sue proteste di innocenza. Nella sentenza è scritto che "Teng ha confessato il delitto di sua iniziativa".

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