28/03/2009, 00.00
CINA - TIBET - INDIA
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Per i tibetani in esilio la “fine della schiavitù” è solo propaganda

A Lhasa e a Pechino grandi feste e proclami sulla “liberazione” portata dal Partito comunista in Tibet. A Dharamsala oggi è giorno di proteste e di lutto. Pechino preme sull’India per bloccare le “attività politiche del Dalai Lama”.

Dharamsala (AsiaNews) – Le autorità cinesi hanno lanciato per oggi la giornata annuale della “liberazione dalla schiavitù” per ricordare la vittoria cinese su una rivolta dei tibetani che 50 anni fa portò all’esilio del Dalai Lama. Ma a Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio, la giornata viene vissuta come “un giorno di lutto” e si accusa Pechino di fare solo “propaganda”.

A Lhasa, capitale del Tibet, circa 10 mila tibetani amici dei cinesi si sono radunati davanti al Potala, l’ex palazzo del Dalai Lama, per celebrare l’avvenimento, con bandiere rosse spiegate. Zhang Qingli, segretario locale del Partito comunista, ha affermato che il Partito comunista cinese ha portato “nell’altopiano tibetano riforme democratiche senza precedenti nella storia umana”.

Ieri sera, ad una cerimonia nella Grande sala del popolo a Pechino, il Panchen Lama scelto dalla Cina, Gyaincain Norbu – malvisto dai tibetani – ha ringraziato il Partito comunista cinese per avere dato a lui “occhi limpidi per giudicare il vero dal falso” e ha elogiato la politica di Pechino vero il Tibet come il raggiungimento di un “balzo storico nel sistema sociale del Tibet”.

Vi sono state anche alcune testimonianze di tibetani che una volta erano servi dei monasteri e della nobiltà tibetani e che con l’invasione cinese hanno trovato “la liberazione”.

La Giornata della “liberazione della schiavitù” è stata creata da Pechino quest’anno dopo le rivolte di un anno fa, soffocate nel sangue e con migliaia di arresti. Per preparare la Giornata, da mesi il Tibet è sotto la legge marziale.

Per i tibetani in esilio questi 50 anni sono “anni di oppressione”, in cui i tibetani “continuano a soffrire una inimmaginabile repressione religiosa, politica e culturale”. Per questo oggi a Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio, si sono radunati decine di migliaia di esuli per una giornata intera di proteste, organizzata dall’Associazione delle donne tibetane, dagli studenti del Free Tibet, dall’associazione dei giovani tibetani. “La Giornata della ‘liberazione dalla schiavitù’ voluta da Pechino – dice uno di loro – è un piano di grossolana propaganda per convincere il mondo che i tibetani sono felici sotto il dominio cinese. Ma nessuna propaganda può nascondere la verità che questi sono stati 50 anni di asservimento”.

Di recente lo stesso Dalai Lama il Dalai Lama ha ricordato la “serie di campagna repressive e violente” lanciate da Pechino in Tibet. “Queste – ha detto – hanno gettato i tibetani in abissi di sofferenze e durezze, da fare loro sperimentare l’inferno sulla terra. Il primo risultato di queste campagne è stata la morte di centinaia di migliaia di tibetani”. Parlando a Dharamsala, nell’anniversario della sua fuga, il leear buddista ha aggiunto: “Ancora oggi  i tibetani in Tibet vivono nel continuo terrore… La loro religione, cultura, linguaggio, identità sono vicini all’estinzione. Il popolo tibetano è bollato come criminale, che merita solo di essere messo a morte”.

Proprio ieri, Zhang Yan, ambasciatore cinese in India, in una conferenza stampa ha chiesto a New Delhi di “non permettere al Dalai Lama di attuare attività politiche sul suolo indiano, nel migliore interesse delle relazioni bilaterali fra i due Paesi”.

Da tempo la Cina minaccia di conseguenze economiche tutti i Paesi che ospitano o lasciano parlare il Dalai Lama.

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