25/03/2011, 00.00
BANGLADESH
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Per la terza volta Dhaka sulla strada della parità femminile, ma gli islamici contestano

di Nozrul Islam
Posto di lavoro, diritto di proprietà ed eredità sono le questioni principali contenute nella National Women Development Policy 2011. Gli oppositori accusano la proposta di violare il diritto di famiglia islamico.
 Dhaka (AsiaNews) – Il governo del Bangladesh ha approvato la National Women Development Policy 2011 (Nwdp) che promuove l’uguaglianza per tutte le donne, indipendentemente dalla loro religione. In maniera simbolica, il primo ministro Sheikh Hasina ha dato il via alla serie di provvedimenti il 7 marzo scorso, un giorno prima della festa della donna. Tra i diritti stabiliti dalla Nwdp, ci sono quelli legati al posto di lavoro, all’eredità e all’istruzione. Ma l’opposizione non ha tardato a far sentire le sue perplessità, obiettando che alcune norme violerebbero il diritto di famiglia musulmano. Il Paese ora aspetta di vedere se la Nwdp andrà effettivamente in porto, o se le pressioni dei più conservatori non avranno invece la meglio e bloccheranno il piano legislativo.

La questione relativa all’eredità è forse quella che attira più critiche. Secondo il Corano, l’eredità non è trasmessa ai figli in parti uguali: alle femmine spetta un quarto di quella che compete ai figli maschi. Ma la norma, se approvata, stabilisce che tutti i figli devono ricevere la stessa parte di quello che il padre lascia in eredità: per gli oppositori alla Nwdp, una violazione del sacro libro dell’islam e un’ingiustizia nei confronti dell’uomo. Perché, dicono, se è vero che la donna riceve di meno, è però compito del marito mantenerla, ragion per cui la futura sposa non ha bisogno di una dote maggiore.

Già due volte in passato il governo del Bangladesh aveva tentato di far approvare una politica simile. La prima volta nel 1997 con la Women Development Policy, bloccata quasi sul nascere. Contro il secondo tentativo, nato nel 2007 durante il governo straordinario, si era messo in moto un movimento di protesta e di forte resistenza. Il premier Hasina e altri membri del governo hanno già ripetuto che nessuno dei principi proposti violerà le leggi del Corano né la sunna, che anzi il loro impegno è di propagandare, diffondere e insegnare l’islam. La partita, dunque, si gioca tutta in campo islamico e nelle sottigliezze interpretative. Con l’ala islamica più conservatrice del Paese e il Bnp, il principale partito dell’opposizione, che cavalcano qualsiasi passo falso mosso dalla maggioranza.

Per sostanziare l’intero complesso di proposte, il governo ha chiesto all’Islamic Foundation – un’organizzazione autonoma sotto il ministero degli Affari religiosi che cura gli aspetti culturali e sociali dell’Islam in Bangladesh – di creare un comitato di saggi che esaminino la Nwdp, per vedere se le norme proposte violano il diritto di famiglia islamico o no. Ma l’opposizione si è già scagliata contro l’Islamic Foundation, accusando il presidente Shamim Mohammad Afzal di essere un “pupazzo” del gruppo secolarista.

In Bangladesh non vige la sharia. Tuttavia, è difficile dire quale piega prenderanno gli eventi. Il governo al momento è molto forte e ha la maggioranza piena e assoluta, ma all’interno della coalizione ci sono delle voci contrarie, come quella dell’ex dittatore Ershad del Jatiya Party. Queste, insieme alle critiche esterne, spingono il primo ministro a procedere con cautela.

Si pesano quindi le parole. Perché se la National Women Development Policy dovesse davvero passare, si potrà allora procedere a trasformare i principi proposti in leggi. Tenendo presente che il diritto di famiglia seguito in Bangladesh è quello islamico, anche se la Costituzione non è disegnata sul diritto musulmano.

Approvata nel 1972, l’attuale Costituzione ha subito un grosso emendamento durante il regime militare, che ha dato un’impronta molto più islamica alla carta originaria, di base secolare e socialista. Nel 2007, l’Alta corte ha emanato una sentenza storica che ha dichiarato illegali e incostituzionali le modifiche apportate alla carta durante il regime militare.
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