28/09/2016, 12.30
ISRAELE - PALESTINA
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Peres, personalità complessa che credeva in una pace funzionale alla sicurezza di Israele

Il ricordo del leader scomparso tracciato da personalità politiche, ecclesiastiche e religiose di Israele e Palestina. Mons. Pizzaballa: ha colto il “valore della presenza cristiana” a livello locale e internazionale. Bernard Sabella: luci e ombre di un “diplomatico intelligente” che “non ha avuto successo”. Rabbino Milgram: “Ossessionato dalla sicurezza”.

 

Gerusalemme (AsiaNews) - Una personalità “complessa” che ha speso parte della propria vita in modo “sincero e autentico” per la pace fra Israele e Palestina, ma non ha saputo raggiungere il proprio obiettivo per gli errori - umani, politici e strategici - commessi lungo il percorso. È questo il ricordo del Nobel Shimon Peres, deceduto stanotte all’età di 93 anni, tracciato ad AsiaNews da personalità politiche, ecclesiastiche e religiose di Israele e Palestina. Un uomo di pace e di guerra, un falco e una colomba, che credeva davvero nella convivenza fra i due popoli ma alla fine “ha fallito” perché ha anteposto il valore della sicurezza (di Israele) al progetto di pace (coi palestinesi).

Ad AsiaNews mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei latini, ricorda un uomo “di una serena, ma determinata fermezza nel perseguire gli obiettivi”. Fra i tanti esempi, il prelato cita “l’incontro di preghiera per la pace” del giugno 2014 in Vaticano con papa Francesco e il presidente palestinese Mahmoud Abbas. “Egli - sottolinea mons. Pizzaballa, in prima fila nell’organizzazione dell’evento - ha voluto essere presente a tutti i costi alla giornata e ha speso il proprio nome per superare gli ostacoli”.

Per mons. Pizzaballa Shimon Peres “è morto sazio di anni, ma ancora giovane e capace di sognare che fosse possibile fare qualcosa per la pace. Che fosse possibile dialogare, incontrarsi l’un l’altro, che lascia una testimonianza importante in un Medio oriente dove tutto sembra complesso”. Egli era convinto che la pace fosse “l’unica soluzione possibile”, essa sola avrebbe garantito “la sicurezza” a Israele. E proprio nel quadro mediorientale, conclude l’amministratore apostolico, negli ultimi anni “si era accorto del valore e della presenza cristiana” con la quale “è entrato in contatto e della quale ha saputo coglierne l’importanza” sul piano locale e internazionale.

Bernard Sabella, cattolico, rappresentante di Fatah per Gerusalemme e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, ricorda una personalità “complessa” che aveva a cuore “le sorti di Israele”. La pace con i palestinesi, aggiunge Sabella, era per Peres “la soluzione migliore per il proprio Paese”; tuttavia, egli non trascurava l’elemento della sicurezza interna, tanto da “sviluppare il complesso nucleare di Dimona”. La pace, aggiunge il prof Sabella, era funzionale “alla stabilità e alla sicurezza di Israele”. Per i palestinesi egli era “un diplomatico intelligente” forse più interessato “alla promozione” degli interessi del proprio Paese, ma che “sfortunatamente non ha avuto successo”. Egli ha incontrato “resistenze” all’interno del suo popolo e della politica nazionale; una opposizione di quella parte - oggi preponderante - di Israele la quale “non voleva portare a termine la pace che [Peres] aveva in mente”.

Nel suo percorso politico e istituzionale vi sono anche delle ombre, ricorda il leader cattolico, come “il sostegno alle nuove colonie” che pesa ancora oggi “sul ricordo del popolo palestinese”. In generale i palestinesi “guardano più al lato negativo, che alle scelte positive, alla ricerca della pace. Non solo gli insediamenti - aggiunge Sabella - ma anche la guerra in Libano [l’Operazione Grapes of Wrath dell’aprile del 1996, quando era Primo Ministro]” con le vittime che essa ha causato. Vi sono però anche palestinesi che “riconoscono la sua diversità” rispetto all’attuale leadership israeliana, il suo essere acclamato “a livello internazionale” come uomo di pace. “Del resto - avverte Sabella - nessuno è senza peccato e dobbiamo riconoscergli il fatto che ci abbia provato”.

“Adesso con la sua morte si volta pagina - conclude il rappresentante di Fatah per Gerusalemme - perché non vi sono fra i leader attuali personalità in grado o disposte a raccoglierne l’eredità. Al netto dei suoi errori e dei suoi sbagli ha sempre detto forte e chiaro che il futuro non può che passare dalla pace fra Israele e Palestina”.

Un ricordo fatto di luci e ombre è anche quello tracciato dal rabbino Jeremy Milgram, membro dell’Ong Rabbis for Human Rights e fra i fautori del dialogo interreligioso in Israele, in questi giorni in Italia per una serie di conferenze. “Vi sono ricordi e aspetti di Peres che danno fiducia, ma vi sono anche elementi di forte contrarietà e frustrazione” spiega il rabbino ad AsiaNews. L’accordo di Oslo, il nobel per la Pace “hanno rappresentato un tempo di speranza”, aggiunge, ma non si possono dimenticare “l’attacco al Libano, che ha autorizzato in prima persona” quando era alla guida del governo. Un attacco, aggiunge, che gli è “costato la vittoria” alle successive elezioni in cui ha perso il sostegno degli arabi e che “ha aperto le porte all’ascesa dell’attuale Primo Ministro Benjamin Netanyahu… un grave errore!”.

Per il rabbino Milgram, Peres rappresenta quella parte di Israele “che vuole la pace, ma non opera davvero nella direzione di una pace giusta per entrambe le parti. E alla fine ha fallito nel suo obiettivo, perché non ha saputo nemmeno far comprendere all’establishment di Israele il bisogno di far rispettare i diritti dei palestinesi”. Fra i grandi errori del piano di pace, aggiunge, “il mancato ritorno dei rifugiati palestinesi. Come si può parlare di pace, se si mette in discussione il ritorno dei rifugiati?”. Egli rappresentava il desiderio di pace, conclude il leader religioso israeliano, “ma era ossessionato dalla sicurezza… l’idea della pace attraverso la sicurezza gli ha impedito di raggiungere il suo obiettivo”.(DS)

 

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