25/10/2013, 00.00
PAKISTAN
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Peshawar, a un mese dalla strage cristiani ancora “insicuri” e isolati

di Jibran Khan
Nonostante i proclami del governo provinciale di Khyber Pakhtunkhwa le misure a protezione di chiese e luoghi di culto della minoranza sono ancora scarse. Vescovo di Islamabad: “Non c'è traccia di maggiori tutele". Un cristiano afferma: “Non ho paura di morire in chiesa, ma temo per i miei figli”.

Peshawar (AsiaNews) - A dispetto dei proclami fatti dal governo provinciale di Khyber Pakhtunkhwa, nel nord del Pakistan, che ha annunciato il rafforzamento delle misure di sicurezza a chiese e luoghi di culto cristiani, la situazione reale per la minoranza religiosa resta fragile e critica. È trascorso poco più di un mese dalla strage del 22 settembre scorso alla All Saints Church di Peshawar, quando due attentatori suicidi si sono fatti saltare in aria nei pressi dell'edifico causando più di 140 morti e 161 feriti. Peraltro le indagini successive hanno confermato la "minaccia concreta" di attacchi alle chiese. Tuttavia, dopo settimane caratterizzate da attestati di solidarietà e (vuote) promesse, la comunità "non è soddisfatta" dei provvedimenti messi in campo dall'amministrazione locale e chiede a gran voce maggiori tutele.

La minoranza cristiana si sente "insicura", lamenta la scarsa attenzione dei vertici di governo e contesta i (presunti) provvedimenti relativi alla sicurezza sinora adottati. A distanza di tempo dalla carneficina, l'ondata di sdegno e commozione cede il passo alla realtà quotidiana. Sin dall'inizio della guerra al terrore Peshawar è stata un obiettivo delle violenze fondamentaliste; il governo pakistano cerca la pace con i talebani, ma fatti simili mettono in dubbio la serietà di eventuali colloqui.

Interpellato da AsiaNews sulla vicenda mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, sottolinea che è "triste" vedere che a dispetto delle ripetute minacce alle chiese "le misure di sicurezza non sono ancora soddisfacenti". La polizia afferma il contrario ma di tutto questo, aggiunge il prelato, "non v'è traccia visibile". "Chiediamo alle autorità competenti - conclude il vescovo - di prendere le misure necessarie per assicurarsi che questi episodi non si ripetano più".

P. John Gill, della diocesi di Peshawar, ha vissuto in prima persona l'attacco. "Ho sentito una fortissima esplosione - racconta - e sono corso subito ad aiutare le vittime. Da quel giorno abbiamo più volte chiesto aiuto e protezione alle chiese, ma finora senza risultati tangibili". Gli fa eco Naveed John, un parrocchiano, secondo cui "vi sono solo due o tre agenti di guardia" alla messa domenicale; "non ho paura di morire in chiesa" e non sono "preoccupato per me", conclude, ma per la salute e il futuro "dei miei figli".

Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, in particolare i cristiani da tempo obiettivo dei fondamentalisti islamici. Decine gli episodi di violenze, fra attacchi mirati contro intere comunità - come avevenuto a Gojra nel 2009 o alla Joseph Colony di Lahore del marzo scorso - o abusi contro singoli individui, spesso perpetrati col pretesto delle leggi sulla blasfemia. La "Legge nera" come è stata ribattezzata finisce per colpire vittime innocenti come Asia Bibi, condannata a morte e in attesa da tre anni di appello, o la minorenne disabile cristiana Rimsha Masih, sfuggita per poco alla condanna.

 

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