27/08/2012, 00.00
INDIA
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Pogrom anticristiani del Kandhamal: quattro anni dopo

di Nirmala Carvalho
Famiglie relegate in ghetti; discriminazione sociale, economica e politica; 10mila persone ancora senza una casa; giustizia a metà o del tutto assente. Un gruppo di attivisti, giornalisti e scrittori ha visitato alcuni villaggi colpiti dalle violenze dei nazionalisti indù nel 2008 e ha pubblicato un rapporto.

Mumbai (AsiaNews) - Almeno 10mila persone ancora senza casa; famiglie costrette a vivere in ghetti; boicottaggio sociale, economico e politico per chi rifiuta di convertirsi all'induismo; risarcimenti parziali o del tutto assenti per case e chiese distrutte. È questa la condizione in cui vivono i cristiani del Kandhamal (Orissa), a quattro anni dai pogrom perpetrati da ultranazionalisti indù. Una squadra d'inchiesta formata da giornalisti, attivisti e scrittori ha visitato 16 villaggi colpiti dalle violenze, intervistando vittime, testimoni oculari, leader di associazioni politiche e non, e consultando vari documenti e registrazioni. Il rapporto emerso da questa indagine è stato presentato il 25 agosto scorso alla Lohiya Academy, dinanzi a 200 persone tra attivisti, leader religiosi e politici e sopravvissuti ai pogrom.

Le violenze del 2008 in Orissa sono scaturite per la morte di Laxamananda Saraswati, leader del Vishwa Hindu Parishad (Vhp, gruppo ultranazionalista indù), ucciso da un gruppo maoista. Anche se i guerriglieri hanno rivendicato la propria colpevolezza sin dall'inizio, l'ira degli attivisti indù si è riversata sulla minoranza cristiana (dalit e adivasi in particolare) del distretto di Kandhamal. I pogrom hanno costretto alla fuga 55mila cristiani; 5.600 case in 415 villaggi sono state saccheggiate e bruciate; 38 i morti accertati (dal governo, ndr); due donne vittime di stupri di gruppo; numerose persone hanno riportato danni permanenti per le torture subite.

Sebbene il governo dell'Orissa (guidato dal Bharatiya Janata Party, braccio politico dei gruppi ultranazionalisti indù, ndr) tenda a ridimensionare la gravità della situazione generata dai pogrom, la realtà dei fatti è molto pesante. Quasi tutte le vittime vivono con meno di un dollaro al giorno, e prima delle violenze erano impiegate come lavoratori giornalieri, contadini e piccoli artigiani. In seguito, essi non hanno più trovato lavoro, per il boicottaggio sistematico della comunità indù.

Dei 10mila cristiani ancora sfollati, più di 5mila vivono a stento a Bhubaneshwar, capitale dell'Orissa. Per ovviare al problema del reinsediamento degli sfollati, il governo ha creato le cosiddette "colonie" - Nandagiri, Ashirbada e Ambedkar -, veri e propri ghetti in cui più di 150 famiglie sono state relegate. In questi luoghi, non vi sono adeguate condizioni igienico-sanitarie, né pozzi per l'acqua. Nel villaggio di Beticola, i radicali indù hanno intimato alle famiglie cristiane di non tornare, a meno che non si convertano all'induismo.

Sul fronte della giustizia, lo scenario è ancora più sconfortante. Delle 3.232 denunce penali presentate dalle vittime, la polizia del distretto ne ha riconosciute solo 1.541, ma solo 828 sono state registrate come Fir (First Information Report). Dei 245 casi presentati alla Fast Track Court, solo in 73 i giudici hanno disposto condanne. Ancora 267 casi sono in attesa di processo. Ad oggi, 2.433 persone sono state prosciolte da ogni accusa, e solo 452 imputati stanno scontando una pena. Dei 30 casi di omicidio esaminati fino ad ora, solo sei persone (due casi in totale) sono state condannate all'ergastolo.

Non è migliore la situazione dei risarcimenti. Anche se il governo dell'Orissa ha stabilito un indennizzo di 50mila rupie (circa 717 euro) per le abitazioni totalmente distrutte, e di 20mila rupie (circa 287 euro) per quelle parzialmente distrutte, almeno il 5% delle famiglie interessate deve ancora ricevere il compenso. Nel caso delle chiese e degli istituti cristiani demoliti, il governo non ha stanziato alcuna forma di risarcimento.

Secondo i dati di Chiesa e attivisti, quasi 300 chiese sono andate distrutte, oltre a conventi, scuole, ostelli e istituti di assistenza. Le autorità hanno contato circa 50 morti. I dati raccolti da attivisti cristiani parlano invece di 91 vittime: 38 morte sul colpo, 41 per ferite subite durante le violenze, 12 in azioni di polizia. 

 

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