16/01/2009, 00.00
INDIA
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Portare un barlume di speranza tra chi nell'Orissa ha perso tutto

di Dushmant Nayak
Da due mesi padre Dushmant Nayak è tornato nell’Orissa dove da agosto c’è stata la persecuzione anticristiana. Racconta un tempo di difficoltà ma soprattutto di grande speranza. Tra gente ancora abbandonata dallo Stato, ma che si è "radicata sulla roccia di Cristo".

Bhubaneshwar (AsiaNews) – Da due mesi padre Dushmant Nayak è tornato al Centro pastorale di Divya Jyoty a K. Nuagam, distrutto e bruciato (nella foto) durante le persecuzioni anticristiane scoppiate ad agosto. Oggi ha celebrato l’eucaristia in ringraziamento del suo ritorno. Ad AsiaNews testimonia la gioia per essere qui. “Sono tornato qui il 16 novembre – racconta – e questi due mesi sono stati i più significativi da quando sono sacerdote. Qui la mia vocazione si è rafforzata ogni giorno, di fronte all’immensa sofferenza e angoscia di questa gente affamata della Parola di Dio e dell’Eucaristia. Questa gente accoglie con cuore grato un sacerdote. Nonostante la mia indegnità, qui rappresento la Speranza. In ogni modo che posso, sono chiamato a tenere vivo un barlume di speranza, giustizia e pace nella vita del mio popolo”.

“Madre Nirmala Joshi, superiora generale delle Missionarie della carità - aggiunge - è stata davvero felice del mio ritorno quando la nostra gente ne aveva bisogno. Ha mandato due suore per servire insieme la nostra gente. Questa gente ha perduto tutto, ogni proprietà, e si stringe a Gesù e a un sacerdote come segno di speranza”.

“Al nostro Centro pastorale prima c’erano quattro padri e due suore. Quando Swami è stato ucciso (l’assassinio il 23 agosto di Swami Laxamananda Saraswati, leader del Vishva Hindu Parishad, è stato il pretesto per scatenare la persecuzione anticristiana, ndr) ero via da Bhubananeshwar e sono così scampato alla furia dei fondamentalisti. All’ospedale Loyola ho incontrato suor Meena e padre Chellan, dopo che sono stati aggrediti e pestati. Ho pianto per le loro sofferenze e sono stato preso da pensieri di vendetta, ma un po’ per volta Dio mi ha risanato. Ho anche avuto il dono dell’assistenza di padre Chellan per qualche giorno, poi è dovuto andare a Mumbai per le cure. Dopo un periodo di preghiera, Dio mi ha chiamato con forza a tornare da questa gente per servirla, curarne le ferite, confortarla e aiutarla a ricominciare”.

“Dopo tutto questo orrore anticristiano, non temo più nulla per me. Vivo per Cristo e se muoio, muoio per Cristo. Certo, la mia famiglia teme per la mia incolumità, ma io la rassicuro, spiego che sono stato chiamato a vivere con questa nostra gente che soffre”.

“Il Centro Pastorale è sempre stato l’edificio più grande dell’intero distretto ed era già stato oggetto delle violenze dei fondamentalisti indù nel dicembre 2007. Ma ad agosto sono venuti preparati, con bombole di gas, petrolio e benzina e hanno distrutto e bruciato ogni cosa. Hanno spaccato la mobilia, strappato le luci, divelto i fili elettrici e ogni cavo dalle pareti. Hanno distrutto documenti e computer. Hanno ammucchiato i mobili nel centro delle stanze e hanno dato loro fuoco. Sono rimasti in piedi solo le mura e il soffitto, anneriti e rotti. Hanno dedicato speciale violenza alla nostra cappella: l’altare, la statua di Maria, sculture, dipinti, tutto è stato distrutto e bruciato”.

“Con le suore di Madre Teresa, abbiamo liberato una stanza grande per celebrare la messa. Vi ha partecipato gente di ogni fede. La Santa Messa ha aiutato in modo immenso i fedeli a riprendere i loro rapporti e a ricominciare. Ora che hanno perso ogni cosa, si sono ancorati alla Roccia di Cristo. Ora ad ogni messa partecipano 350-400 persone, che vi traggono fonte di vita e speranza di pace”.

“I cristiani di Konjamaldi erano stati atterriti dallo stupro di suor Meena e dal pestaggio brutale di padre Chellan. C’era una paura palpabile. Ma quando hanno saputo del mio ritorno, sono venuti in massa al Centro. E gente di ogni fede è venuta per vederci, siamo un segno di speranza anche per loro”.

“Qui vicino c’è un campo profughi. Lo visito alternativamente con le suore di Madre Teresa e altre suore. Portiamo aiuto medico e psicologico. All’inizio nel campo locale c’erano 7mila persona, ma erano 2mila al mio ritorno e ora sono 350. Questa gente è forzata a lasciare il campo, danno loro una tenda e qualche migliaio di rupie. Ma la gran parte di loro non torna al villaggio, finisce nelle baraccopoli di Bhubaneshwar. Non hanno nemmeno documenti, anche questi bruciati e distrutti. Hanno paura. Con l’identificazione di due degli aggressori di suor Meena abbiamo mostrato di voler ancora dare fiducia alla giustizia, pur nella perdurante insicurezza”.

“Ieri ho celebrato il funerale di Yubrai Digal, rapito e ucciso di botte dalla folla a metà dicembre. Ieri le sue ossa sono state sepolte”.

(Testimonianza raccolta da Nirmala Carvalho)

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