09/05/2012, 00.00
RUSSIA
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Putin torna al Cremlino da zar, ora la sfida è abbracciare le riforme

di Nina Achmatova
Non solo il fasto della cerimonia di insediamento, ma anche la risposta violenta alle nuove ondate di protesta a Mosca hanno portato in molti ad associare il Putin III all'ultimo imperatore. Se il potere si fossilizza e l'opposizione diventa più radicale, come già successo in Russia, il rischio è la rivoluzione.

Mosca (AsiaNews) - In una cerimonia da "alti dignitari", lontano dal popolo e chiuso nelle stanze dorate del Cremlino, Vladimir Putin è tornato sulla poltrona presidenziale per la terza volta negli ultimi 12 anni. Il suo solenne insediamento ha rievocato i fasti della Russia zarista, e anche il suo atteggiamento verso le nuove sfide che lo attendono da presidente ricorda quello dell'ultimo zar Nicola II. Fossilizzato in schemi repressivi e incapace di adeguarsi a un Paese ai cui occhi ha perso l'aura di sacralità dei due precedenti mandati (2000-2008), Vladimir Vladimirovich rischia come i Romanov, di essere spazzato via in modo violento. I commentatori avvertono che il suo schernire i manifestanti, da mesi in piazza per chiedere riforme radicali del sistema politico, e il recente uso della forza contro i contestatori - come è successo nei primi tre giorni del suo mandato, 'macchiati' da circa 1000 fermi solo a Mosca - rischiano di radicalizzare l'opposizione fino al punto di non ritorno. Il movimento bolscevico - ricorda un commento della rivista Foreign Policy - si radicalizzò, dopo anni di repressione da parte del regime di Nicola II. In questi casi, il rischio già concretizzatosi nella storia russa (non solo nel 1917, ma anche nel 1991), è che la leadership politica veda eventuali aperture alla piazza solo come una debolezza, mentre l'opposizione al potere costituito inizi ad aspirare non più a semplici riforme, ma al totale scardinamento del sistema. Si arriverebbe così a una paralisi, da cui in passato la Russia è sempre uscita con rivoluzioni che hanno poi smantellato lo status quo.  

Che all'interno del movimento anti-Putin stia prendendo piede una tendenza più estremista lo si è visto anche il 6 maggio in piazza Balotnaja: la base chiede azioni più incisive e la stagione dei cortei 'bianchi' e irriverenti, concordati con le autorità, è terminata. Sono gli stessi esponenti della protesta ad aver già paragonato l'inizio del mandato del presidente con quello dell'ultimo zar: su Twitter la leader del movimento ecologista, Eveghenia Chirikhova, ha paragonato gli scontri di piazza Balotnaja alla tragedia del parco di Khodynka, che nel 1896 gettò un'ombra funesta sull'incoronazione di Nicola II. Allora, la caduta di un palco durante i festeggiamenti per il nuovo imperatore, poco fuori Mosca, provocò il panico generale e migliaia di partecipanti morirono schiacciati. La strage di Khodynka venne in seguito letta come un presagio delle disgrazie che costelleranno il regno di Nicola, fino alla Rivoluzione di ottobre e all'uccisione dell'intera famiglia imperiale nel 1918.

Putin tornacapo del Cremlino, ma senza lo stesso carisma: i russi - secondo il politologo Gleb Pavlovsky - non gli perdonano lo scambio di ruoli con Dmitri Medvedev (deciso a tavolino anni fa, come lui stesso ha apertamente ammesso) e i brogli di massa alle legislative del 4 dicembre da cui poi è scaturita la "rivoluzione della neve".

Stavolta, se vorrà garantire la stabilità, su cui ha puntato in campagna elettorale dovrà mostrarsi un po' più presidente e meno zar. Non sono solo Mosca e Pietroburgo a ribollire. Anche le regioni lontano dalla capitale stanno diventando teatro di forte attivismo sociale e politico, e non a favore del partito di governo Russia Unita, come sta per rilevare un rapporto del Centro di analisi strategica, think-tank del Cremlino.

La pace sociale, dicono gli analisti, si regge oramai su un equilibrio precario legato soprattutto all'evoluzione della crisi economica. Putin dovrà fare i conti con un Paese non più disposto a rispettare il vecchio patto "stabilità e crescita in cambio di silenzio e fedeltà a Mosca". Il Paese lo ha scelto di nuovo (con il 63% dei voti) soprattutto perché non vi erano alternative credibili.

A livello macroeconomico la Federazione ha retto le due ondate della crisi col Pil in crescita nel 2011 del 4,2%. Ma la spesa pubblica è salita al 37% del Pil lo scorso anno, mentre l'economica continua a dipendere per i due terzi dalle esportazioni di gas e petrolio. Realtà pericolosa con i mercati europei deboli e le incognite sul prezzo del petrolio. Per rispettare le sue populiste promesse elettorali (più soldi a famiglie, esercito, ricercatori e pensionati) Putin deve sperare sul barile di greggio ancora per molto tra i 140 e 150 dollari. 

 
Nel suo ultimo discorso da premier ha indicato nella sicurezza e nella crescita demografica i suoi maggiori obiettivi per il futuro della Russia, che dovrà puntare - a suo dire - sullo sviluppo delle regione del Lontano oriente, la differenziazione nell'economia e diventare leader regionale nel grande spazio eurasiatico. Obiettivi a lungo termine e da vero zar, popolo permettendo.

Per ora la frammentata opposizione di piazza non ha alcun leader reale a rappresentarla. Putin, secondo gli esperti, dovrebbe sfruttare questo momento per accettare la svolta e dare il via alle riforme necessarie a fare della Russia un Paese moderno (lotta alla corruzione, indipendenza dei tribunali, migliore clima per gli investimenti, infrastrutture). Dall'esordio di mandato, però, sembra che Vladimir Vladimirovich sia saldamente ancorato alla sua vecchia concezione di potere. Proprio come l'ultimo imperatore di Russia.  

 

 

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