08/02/2013, 00.00
TIBET – CINA
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Qinghai, 13 anni di carcere per un’auto-immolazione mai avvenuta

Prosegue la stretta di Pechino contro la popolazione tibetana: dopo i 70 arresti “in relazione ai suicidi”, un tribunale condanna un uomo per aver spinto un monaco al suicidio. Anche se il suicidio poi non si è verificato. Il regime comunista avverte: “Questa sarà la sorte di tutti i colpevoli”.

Pechino (AsiaNews) - Il tribunale del Popolo della provincia nord-occidentale del Qinghai ha condannato questa mattina a 13 anni di carcere un tibetano accusato di aver "incitato" un monaco buddista a darsi fuoco contro la dominazione comunista e a favore del ritorno del Dalai Lama in Tibet. L'uomo, identificato come Phagpa, è stato riconosciuto colpevole di "omicidio volontario" anche se il monaco in questione non si è suicidato.

Si tratta della seconda condanna per omicidio volontario emessa da una Corte cinese contro i presunti "istigatori" delle auto-immolazioni in Tibet: il mese scorso le autorità giudiziarie hanno annunciato infatti alla popolazione che "questa sarà l'accusa per tutti". Ad oggi sono 99 i tibetani che si sono dati fuoco in Cina (a partire dal 2009) per protestare contro Pechino e la sua politica repressiva verso la cultura e la religione tibetana. Secondo il governo tibetano in esilio, 83 di loro sono deceduti.

Per cercare di fermare questa forma estrema di protesta, il governo comunista ha scelto il pugno di ferro: sempre nel Qinghai la polizia cinese ha arrestato 70 persone "in relazione ad una serie di immolazioni". Secondo la Xinhua, che cita "un'indagine della polizia", la "cricca del Dalai Lama ha pilotato i suicidi per i propri scopi perversi". Sia il governo tibetano in esilio che il leader religioso buddista hanno più volte chiesto ai tibetani di "preservare sempre la vita".

Secondo alcuni agenti di polizia "molti degli immolati avevano problemi personali": nell'articolo della Xinhua si cita una donna di 26 anni - Kyihe Monky - che "aveva divorziato dal marito pochi mesi prima di suicidarsi perche aveva molte relazioni sessuali con altri uomini".

Diverse fonti tibetane collegano invece l'aumento dei suicidi alle politiche sempre più repressive del regime, che al momento impedisce ai minorenni di entrare nei templi buddisti, vieta l'insegnamento della lingua e della cultura tradizionale tibetana e assegna alla popolazione di etnia han compiti e lavori migliori rispetto a quelli destinati ai tibetani stessi.

 

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