06/02/2008, 00.00
VATICANO - ASIA
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Quaresima: l’elemosina e il dono della vita

di Bernardo Cervellera
Il Messaggio di Benedetto XVI per questo tempo forte della Chiesa suggerisce di non idolatrare la ricchezza e usarla per una globalizzazione solidale. La mancanza di solidarietà nello sviluppo sta foraggiando Al Qaeda. Il dono più efficace - e meno chiassoso - è quello di se stesso.

Roma (AsiaNews) -  A pochi giorni dall’inizio del periodo di Quaresima, Benedetto XVI ha diffuso il suo messaggio dal titolo “Cristo si è fatto povero per voi” (2Cor 8,9), che ha come tema l’elemosina. In un mondo globalizzata come il nostro, dove capitali e ricchezze vengono spostate di qua e di là col semplice tocco di un tasto al computer, dove non passa giorno senza che vi sia un richiamo a raccogliere fondi per un problema o un altro, l’elemosina ha ancora un valore?

Il papa parla di questa pratica, così antica nel mondo ebraico e cristiano, come un “esercizio ascetico” e come un “allenamento spirituale”. Verso cosa?

Anzitutto sul non idolatrare la ricchezza e considerarla invece uno strumento di amicizia. La mentalità materialista del nostro sentire contemporaneo sembra non trovare altro motivo per la dignità della persona che il possedere. Quanto più uno possiede, tanto più uno “è” qualcuno. Peccato che su questa strada chi la pensa così miete soltanto tristezza, disperazione, vuoto. L’elemosina, invece, ricorda che tutto quanto abbiamo, lo riceviamo da Dio e lo amministriamo per il bene del mondo e della terra. “I beni materiali – dice il pontefice citando il Catechismo della Chiesa cattolica - rivestono una valenza sociale, secondo il principio della loro destinazione universale (cfr n. 2404)”. Solo quando la ricchezza si fa aiuto all’altro, produce gioia, per chi dona e chi riceve.

La globalizzazione economica, che pure ha permesso a molti popoli poveri di essere strappati dallo spettro della fame, ha ancora bisogno dell’elemosina, del dono dei Paesi ricchi a quelli poveri, perché i poveri diventino partner a pieno titolo della comunità internazionale. Molto spesso, con la scusa di far entrare i popoli poveri nella produzione mondiale, ci si ferma all’uso della manodopera, senza operare per la loro educazione, quella dei loro figli, per la sanità del loro villaggio. Vale la pena ricordare che al Qaeda sta diffondendosi nel Medio Oriente e nel Sud-est asiatico proprio occupando gli spazi vuoti lasciati da molti Paesi ricchi, incuranti della miseria che circonda le loro fabbriche nel Terzo mondo.

Il papa ricorda anche che la carità va fatta nel silenzio e nella discrezione. Nel nostro mondo dominato dall’immagine, dal successo e dalla pubblicità le tante raccolte televisive rischiano di essere un trionfo per il donatore, più che una condivisione del bisogno di chi va aiutato. A questo tema è legato anche un’altra questione: quante agenzie dicono di aiutare il Terzo mondo, i poveri e invece utilizzano i fondi della carità per sostenersi con percentuali fino al 50% delle donazioni? Per questo, sempre più spesso, i generosi preferiscono utilizzare come tramite per la loro carità il mondo missionario che nel silenzio (e in una continuità non occasionale) sostengono le vite di miserabili negli slum, nei lebbrosari, nelle campagne.

“Come non ringraziare Dio – dice il papa - per le tante persone che nel silenzio, lontano dai riflettori della società mediatica, compiono con questo spirito azioni generose di sostegno al prossimo in difficoltà?”. Mi viene in mente la testimonianza che p. Giancarlo Bossi, del Pime - rapito e poi liberato a Mindanao lo scorso anno – ha dato davanti ai giovani dell’Agorà a Loreto lo scorso 1° settembre. P. Giancarlo è schivo e gli è difficile parlare in pubblico. E ha detto: “A me non piace essere in prima fila. Ma ho capito. E' perchè fra di noi ci sono tante persone che nel silenzio si prendono cura del loro fratello, dei genitori, dell'handicappato... Io sono qui a nome loro, di tutti quelli che agiscono nel silenzio”.

Infine, nel messaggio di Benedetto XVI, l’elemosina deve aiutarci a comprendere che non è importante donare “cose”, ma se stessi.  Il pontefice ricorda la vedova del Vangelo che dando pochi spiccioli al tempio, ha dato “tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,44). E lo ha fatto imitando in modo inconsapevole Gesù stesso, che si avviava di lì a poco a donare la vita per tutti gli uomini.

“Alla sua [di Gesù] scuola – continua il papa -  possiamo imparare a fare della nostra vita un dono totale; imitandolo riusciamo a renderci disponibili, non tanto a dare qualcosa di ciò che possediamo, bensì noi stessi”.

É quanto facciamo noi missionari ed è quanto vorremmo facessero molti giovani, perché siano felici. Buona Quaresima.

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