03/08/2011, 00.00
SIRIA
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Rivolta in Siria: le violenze non fermano il popolo assetato di libertà e dignità

di Samir Khalil Samir
La “primavera siriana” non pretendeva un cambio di regime. Ma dopo tutte le violenze di questi mesi, Assad e il suo governo, con l’esercito e i mukhabarat, sono ormai screditati. È tempo di agire e parlare, anche per le Chiese, timorose di un’islamizzazione del Paese.
Beirut (AsiaNews) – Alla fine, dopo tutto quello che è successo tre giorni fa ad Hama, la più parte dei Paesi europei e gli Stati Uniti hanno avuto una reazione indignata. C’è voluto il massacro di oltre 100 persone indifese perché l’Occidente si risvegliasse: meglio tardi che mai. Speriamo soprattutto che questo cambiamento di politica arresti la violenza del potere siriano contro il proprio popolo. Di per sé, il 20 giugno scorso, il presidente Bachar al-Assad aveva finito per riconoscere la legittimità di alcune rivendicazioni; ma in seguito non vi sono state che promesse senza effetti, mentre continua la morte degli innocenti, che ormai si stimano a 2 mila, compresi quelli che hanno subito le torture.

Cosa succede in Siria e perché questa rivoluzione

Alcuni rispondono che tutto ciò sia fomentato dagli islamisti o dai Fratelli musulmani venuti dalla Giordania o da altrove, che approfittando del clima generale del mondo arabo, vogliono rovesciare il regime degli Assad e islamizzare il Paese. Questa lettura viene spesso sostenuta dai cristiani, che temono un cambiamento di regime, che potrebbe giocare contro di loro: la neutralità religiosa garantita dal presente regime li rassicura, anche se essi riconoscono che il regime non è per nulla rassicurante. Ma questo sarebbe un male minore.

Altri accusano Israele di fomentare i disordini. È la classica teoria del “complotto israelo- americano”, cara a molti perché comoda e semplicista. E si dimentica che la Siria è nemica di Israele solo a parole, e che nella realtà è il suo alleato più solido: da circa 40 anni, Damasco non ha mai fatto nulla per recuperare il Golan, requisito da Israele. I due incidenti del 15 maggio (commemorazione della guerra del 1948) e del 6 giugno (commemorazione della guerra del 1967), due sconfitte cocenti dei palestinesi, dove alcuni palestinesi sono stati uccisi perché entravano nel Golan, non hanno suscitato alcuna reazione da parte dello Stato siriano!

In realtà, la maggioranza del popolo siriano – eccetto quelli che approfittano del regime – non ne possono più. Sono stanchi di vedere messe da parte le loro rivendicazioni e oppressi i loro diritti più elementari, come la libertà di espressione.

Incoraggiati dagli avvenimenti in Tunisia ed Egitto, le folle siriane sono scese in strada per reclamare questi diritti. A differenza di quei due Paesi – dove i governanti erano in pratica degli approfittatori – esse si sono trovate di fronte a responsabili crudeli, malvagi e abili. L’esercito che in Egitto ha protetto i manifestanti, in Siria li ha attaccati. Nel Paese domina un solo partito, il Baath (in realtà un partito fantoccio perché chi domina è la famiglia Assad e i suoi alleati). Non vi è alcun a opposizione e alcuna stampa indipendente. In più, dal 1982 (massacro dei Fratelli musulmani ad Hama), il controllo del Paese è stato sottomesso ai servizi segreti.

Nel luglio 2000, all’arrivo di Bachar el-Assad, è sembrato spirare un vento nuovo sulla Siria, con il riformarsi di gruppi politici. Ma nel settembre 2001 tutto è ricaduto nel passato: i principali animatori di tali movimento sono stati condannati a 5 anni di prigione e uno di loro a 10 anni. Diversi tentativi di riorganizzare l’opposizione vengono abortiti. Nuova speranza nel 2005, quando l’opposizione propone una riforma progressiva. Ma nel dicembre 2007 i capi del movimento sono arrestati e condannati a due anni e mezzo di prigione. Allo stesso tempo sono condannati tutti coloro che propongono una revisione delle relazioni con il Libano. E vengono incarcerati i difensori dei diritti umani, quali Anwar al-Bunni, Mohannad al-Hasani e Haythan al-Maleh

I Mukhābarāt e la corruzione

Dagli anni ’80 i Mukhābarāt sono l’organizzazione più potente. Essi si legano ai ricchi e ai potenti per vivere a loro seguito. Minacciano piccoli e grandi per trarre profitto con piccoli e grandi benefici, terrorizzando la popolazione e vivendo come parassiti. Nessuna categoria viene risparmiata; nessun passo può essere fatto senza il loro accordo e senza il loro ritagliarsi un profitto. Hafez el-Assad li ha mantenuti la potere perché essi non lo minacciavano e gli obbedivano. Nel 2005, suo figlio Bachar, dato lo scontento crescente della popolazione, ha cercato di contenerli. Ma i Mukhābarāt continuano nonostante tutto ad agire allo stesso modo, sfruttando e minacciando tutti. Ormai essi sono divenuti un gruppo di tipo mafioso, che non esita a utilizzare brutalità e violenze, per non parlare delle umiliazioni. Tutti rischiano la prigione, senza una reale possibilità di difendersi.

Quanto praticato dai Mukhābarāt è praticato anche dalla polizia e dall’esercito. I doganieri approfittano del loro potere – per quanto limitato – per ottenere piccoli vantaggi. Un esempio: tutte le volte che attraversavo i vari controlli al confine libano-siriano, i doganieri di servizio ci domandavano un pacco di pane, o un cespo di banane. I militari approfittano del loro potere per ottenere vantaggi, o fanno lavorare le truppe più giovani per i propri interessi personali o quelli della propria famiglia.
Anche i medici sfruttano la situazione per vendere le medicine costose sul mercato e dare ai pazienti delle medicine più scadenti. In pratica, ogni persona che abbia autorità, ogni funzionario anche di basso livello, abusa del suo potere per arrotondare il suo salario o migliorare le sue condizioni. Ed è così che la corruzione è divenuta una moneta corrente e generalizzata in Siria.

Da decenni il popolo ha sete di dignità

Nel contesto generale di crescente malessere, la rivolta è scoppiata prima in Tunisia e poi in Egitto, portando alla caduta dei due presidenti. I siriani non domandavano tanto. A loro bastava un po’ più di giustizia, meno brutalità, più libertà, ma non mettevano in discussione il regime, né domandavano la caduta del presidente.
Purtroppo, né Bachar el-Assad, né i suoi consiglieri hanno capito cosa stava succedendo. Essi hanno reagito come d’abitudine con la forza e la violenza. Ma questa volta il popolo non ha ceduto: era troppo!

A Daraa, nel sud, dove è partita la rivolta, alcuni adolescenti hanno scritto sui muri degli slogan contro il Baath. Sono stati imprigionati, battuti e torturati: bruciati con sigarette nelle parti intime, le unghie strappate. Uno di loro, Hamza Ali al-Khateeb, 13 anni, è stato rimandato morto ai genitori, col sesso mutilato (v. il video del 25 marzo 2011). Tamer Mohammed al-Sharey, un altro ragazzo di 14 anni, è stato trovato dalla madre l’8 giugno scorso, morto dopo aver subito torture. Per il popolo questi sono dei “martiri” che non saranno mai dimenticati.

Altri sono stati arrestati anche se non avevano manifestato, rinchiusi in un ospedale militare, lasciati per giorni nudi e con gli occhi bendati, senza cibo e puniti con battiture. Un ex funzionario dei servizi segreti siriani, emigrato negli Usa, vedendo quel che succedeva, ha commentato: “Lo fanno per il piacere della tortura!”. Si stima che finora più di 10mila persone sono state arrestate e brutalizzate. Ormai in Siria i casi di arresto e di tortura sono divenuti quasi una banalità.

Il regime ha cercato di lavorare nella segretezza: ha proibito la presenza di giornalisti stranieri nel Paese; ha vietato ai diplomatici di allontanarsi da Damasco; ha bloccato telefono e altri mezzi di comunicazione. Nonostante ciò, ormai oggi è impossibile mantenere il segreto assoluto e prima o poi, grazie a internet e ad altri mezzi di comunicazione, tutto viene alla luce.

La rivolta non può essere bloccata nemmeno dalla violenza: molta gente è pronta a morire piuttosto che a mantenere questo regime. Lo scorso 25 luglio è stata approvata una legge che autorizza la reazione di nuovi partiti politici. Ma ciò non interessa più nessuno e nessuno ci crede. Secondo i manifestanti i partiti che nasceranno saranno solo dei partiti-fantoccio e tutto continuerà come prima.

Il regime è ormai screditato e non si può più accontentare il popolo siriano con delle promesse o con delle nuove leggi. Il popolo vuole stabilire da sé le proprie leggi, ritrovando la dignità dell’essere cittadini. E reclama azioni concrete: anzitutto liberare le decine di migliaia di prigionieri politici; ritirare l’esercito; strappare ogni potere ai mukhābarāt; arrestare i franchi tiratori e altri malfattori. Ogni giorno che passa non fa che aggravare la situazione. Questo popolo non è rivoluzionario: esso reclama giustizia, libertà, dignità ancora prima del pane.

Il governo e il suo presidente sapranno accordare loro questi diritti legittimi e fermare ogni repressione e violenza?

Le Chiese e i cristiani sapranno essere artigiani di pace e di non violenza, di fare delle opzioni coraggiose e difficili, testimoniando diritto e giustizia? Penso che tutti, governanti e popolo, abbiano bisogno del nostro sostegno e non del nostro silenzio.
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