11/09/2019, 16.25
BANGLADESH
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Sacerdote fidei donum: La mia ‘pienezza’ è nella missione in Bangladesh

Il p. Belisario, colombiano, è un “fidei donum” per la missione ad gentes insieme ai padri del Pime. Il lavoro nella diocesi di Rajshahi con i tribali; l’istruzione per i bambini poveri; il sostegno al dialogo interreligioso. Ha aperto un canale YouTube per trasmettere la messa, che necessita di fondi. Il Mese missionario straordinario “ci doni un nuovo slancio, a non prenderci cura solo delle pecore grasse”.

Rajshahi (AsiaNews) – Il luogo in cui “Dio vuole che io sia è il Bangladesh”: lo dice ad AsiaNews p. Belisario Ciro Montoya, 34 anni, sacerdote colombiano che presta servizio nella diocesi di Sonson-Rionegro. Egli è in Bangladesh come “fidei donum” insieme ai padri del Pime (Pontificio istituto missioni estere). Racconta la sua esperienza missionaria: “Fin dal primo giorno, quando sono atterrato a Dhaka, ho avvertito una sensazione di pienezza. Mi sento pieno, felice, una sensazione che non è umanamente spiegabile. Io stesso mi domando come sia possibile, con un clima così torrido, una cultura così diversa e una popolazione a maggioranza musulmana. In Colombia ho frequentato parrocchie e seminari, ma qui in Bangladesh sperimento davvero la pienezza della vita in Cristo”.

P. Belisario racconta i primi anni di testimonianza del Vangelo nel Paese asiatico, segnati da diverse difficoltà “logistiche” e dal lutto per la morte del padre. Il sacerdote è arrivato a Dhaka nel 2014; dopo un periodo di studio della lingua, è stato destinato alla missione di Danjuri. Qui però, “per motivi di sicurezza legati all’attentato contro p. Piero Parolari e ad altri stranieri, le autorità mi hanno assegnato una scorta di cinque poliziotti, che non mi lasciavano mai da solo nelle visite ai villaggi”. I nove mesi che lì ha trascorso sono stati il “periodo più difficile, ma ero felice”.

Poi la morte del padre nel 2018, e “il desiderio di assistere e confortare la mia famiglia. Per questo, d’accordo con il vescovo della mia diocesi, sono rimasto a casa più di un anno. È stato un dono, perché ho potuto celebrare la messa funebre di mio padre ed ero accanto a lui al momento della morte”. Alla fine, il ritorno in Bangladesh il 3 agosto scorso: “Era come se avessi un ‘debito’. Dopo aver imparato la lingua, i costumi e le tradizioni, sarebbe stato uno ‘spreco’ non tornare. Soprattutto sapevo che in Bangladesh mi aspettavano e pregavano per me”.

Al momento p. Belisario si trova nella parrocchia di Chandpukur, nella diocesi di Rajshahi, la più a nord del Bangladesh al confine con l’India. La chiesa serve 70 villaggi in una vasta area a maggioranza musulmana, in cui vivono 7mila cattolici: “Molti sono tribali di etnia Santal e Orao convertiti di recente, ma che mantengono alcune tradizioni legate alla cultura d’origine. Il nostro lavoro è diretto soprattutto alla formazione, a far comprendere il senso della loro nuova vita in Cristo”. Per quanto riguarda il metodo, prosegue, “sosteniamo un processo d’inculturazione, come predicava papa Paolo VI: cioè incentiviamo quegli elementi della cultura indigena che non offendono la dignità umana e eliminiamo quelli che sviano dalla pratica cristiana e non rispondono al bene dell’uomo. Per esempio il rituale funebre Santal prevede il sacrificio degli animali. Invece noi spieghiamo che al defunto non serve il sangue degli animali, perché solo il sangue di Cristo ci redime e ci dà la vita eterna. Del rito matrimoniale invece abbiamo mantenuto il ‘bindi’, cioè lo scambio di una pasta rossa sulla fronte dei coniugi che simboleggia il rispetto”.

Il missionario è incaricato di “far quadrare i conti” dei due ostelli per femmine e maschi associati alla parrocchia. “C’è tanto bisogno – dice – perché i nostri tribali sono molto poveri, non possiedono la terra e abitano lontano. Non esistono scuole e non si insegna la loro lingua. Dovrebbero studiare con i musulmani, ma essendo minoranza, i ragazzi sono molto timidi. Al momento i nostri ostelli ospitano 250 ragazzi a partire da 5-6 anni. Essi studiano, mangiano e lavorano nei campi della missione, coltivano gli ortaggi e il riso che poi consumano”.

P. Belisario è anche membro della Commissione diocesana per il dialogo interreligioso: “Organizziamo incontri tra i membri delle varie comunità per parlare di pace e armonia, della cura del creato. Teniamo gli incontri all’interno delle scuole, dove gli studenti sono entusiasti di partecipare e comprendono in pieno l’armonia su cui è stato costruito il Bangladesh fin dall’indipendenza, in un clima di tolleranza e rispetto tra le religioni”. Purtroppo, ammette, “negli ultimi anni sono germogliati i semi del male e della discordia di un islam radicale che non appartiene a questo Paese, come gli attentati suicidi a Dhaka. Tuttavia questi episodi non hanno niente a che vedere con la cultura bengalese, che è accogliente e rispettosa, anche dei missionari”.

Il suo ultimo progetto è un canale YouTube aperto insieme a un prete diocesano “in cui pubblichiamo video sul Vangelo in lingua locale. È un servizio importante di testimonianza cristiana a quanti non possono venire in chiesa per assistere alla messa. Il filmato del Venerdì Santo ha avuto 2mila visualizzazioni: questo significa che c’è sete di Cristo”. Egli sta cercando finanziamenti per il programma di editing dei video e lancia un appello a chiunque voglia donare anche una piccola somma: “Bastano 30 euro al mese”.

Il sacerdote rimarrà in Bangladesh per altri quattro anni. Nei confronti dei padri del Pime che affianca prova “profonda gratitudine e ammirazione: io sono qui per un tempo limitato, loro invece servono per tutta la vita”. Infine rivela una speranza: “Che il Mese missionario  straordinario di ottobre doni a ognuno di noi quello slancio che abbiamo provato nel 2017 con la visita di papa Francesco. Tutti nella Chiesa dobbiamo riscoprire l’aspetto fondamentale della missione ad gentes, che non è prendersi cura solo delle pecore grasse, mentre tanti muoiono ancora nell’oscurità e nell’ignoranza di Gesù”. (A.C.F.)

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