19/09/2006, 00.00
GIAPPONE
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Sarà Shinzo Abe l'erede politico del riformatore Koizumi

di Pino Cazzaniga
Il 20 settembre diverrà presidente del Partito liberal democratico e quindi sarà eletto primo ministro. Si spera possa sciogliere il nodo della politica estera giapponese: i rapporti con Cina e Corea del Sud.

Tokyo (AsiaNews) - Il 20 settembre il Partito liberal democratico (LDP) eleggerà il suo nuovo presidente come successore del "ribelle" Junichiro Koizumi. Dato che l'LDP, in coalizione con il partito Komeito, ha la maggioranza assoluta, il presidente eletto diventerà anche il nuovo primo ministro. Da quando è iniziata la propaganda elettorale, pur essendo il voto un affare interno del partito, esso suscita interesse e dibattiti in tutti gli strati della popolazione, malgrado il risultato sia ampiamente scontato: Shinzo Abe (51 anni), l'attuale segretario capo del gabinetto Koizumi, è già virtualmente il vincitore. I suoi due "avversari": Taro Aso (65), ministro degli esteri, e Sadakazu Tanigaki (61), ministro delle finanze, pur avendo poche probabilità di vittoria hanno svolto un ruolo prezioso: quello di costringere Abe a uscire dalle nebulosità del programma e dalle ambiguità delle espressioni.

"Abe è l'uomo del momento" ha detto un diplomatico asiatico. Come età e carriera politica diretta è il più giovane dei tre. E' deputato solo da 13 anni, ma il suo albero genealogico politico ha radici molto antiche. Suo nonno materno, Nobusuke Kishi, è stato ministro dell'industria dal 1941 al '45, e, dopo la disfatta, imprigionato come "criminale di guerra classe A". Ma non è stato condannato e in seguito ha raggiunto posizioni di primo piano nell'LDP fino a diventare primo ministro. Suo padre, Shintaro Abe, ha diretto una delle principali fazioni del partito; la malattia e la morte (1991) gli hanno sbarrato la via alla presidenza. Shinzo, raccoltane l'eredità politica, si appresta a portarne a compimento l'ambizione. Benché il suo messaggio programmatico susciti non poche perplessità, molti concordano nel riconoscergli una forte preparazione. Un suo libro recente "Utsukushii kuni e" (Verso un bella nazione), ne è testimonianza.

Presentando la sua candidatura Abe ha dichiarato: "Voglio impegnarmi nella politica a beneficio della gente comune. Voglio fare del Giappone una nazione che sia rispettata nel mondo e nella quale i bambini siano felici di essere nati". Tutti e tre i candidati sono d'accordo nel ritenere che il 20 settembre può essere, per il Giappone, l'inizio di una nuova era che, per quanto paradossale possa sembrare, è stata preparata dal "ribelle" primo ministro uscente, Junichiro Koizumi. Questi ha distrutto strutture politiche e economiche che, secondo molti, andavano distrutte. Ora bisogna ricostruire sulle macerie

Per fare del Giappone "una nazione che sia rispettata nel mondo", occorre innanzitutto affrontare il problema dei rapporti con la Cina e la Corea. Su questo punto la diplomazia di Koizumi è stata disastrosa: da oltre cinque anni non si hanno visite di Stato tra i due colossi dell'Asia, apparentemente a causa delle ostinate visite del premier al santuario Yasukuni. Tutti e tre i candidati sono d'accordo circa la gravità del problema, ma differiscono nell'approccio alla sua risoluzione. Due avvenimenti e i documenti ad essi relativi illustrano la sostanza del problema.

Nel 1972, anno della normalizzazione delle relazioni tra Cina e Giappone, l'allora primo ministro cinese Chu En-lai, durante il banchetto in onore del primo ministro giapponese Kakuei Tanaka, a Pechino, disse: "seguendo gli insegnamenti del presidente Mao Tse-tung il popolo cinese ha fatto una chiara distinzione tra il gruppo degli elementi militaristi e la maggioranza del popolo giapponese"; criminali i primi, vittima il secondo. Sulla base di questo principio, da allora, è stato possibile creare relazioni positive tra le due potenze asiatiche. Grazie a questa distinzione al Giappone non è stato richiesto di pagare riparazioni di guerra. Accettare la distinzione cinese implica il riconoscimento della natura aggressiva dell'invasione giapponese. "Per quanto riguarda la relazione con la Cina, è chiaro che quella guerra è stata una guerra di aggressione", ha riconosciuto Tanigaki in un recente dibattito. Il giudizio è stato condiviso da Aso, con qualche sfumatura. Tutt'altro il registro usato da Abe. "Lascio il giudizio storico agli storici", ha detto, aggiungendo che quando le nazioni normalizzano le relazioni, "tutto dipende dal contenuto dei documenti che sono stati firmati", dove non si allude specificatamente alla dottrina della separazione. L'ambasciatore cinese a Tokyo, Wang Yi, ha subito reagito affermando che il riconoscimento della responsabilità da parte dei "criminali classe A" segna il punto di partenza della normalizzazione tra le due nazioni. La Cina non si oppone alla visita allo Yasukuni in sé, ma al fatto che in esso sono venerati anche i responsabili di quella guerra.

Nel 1995, quarantesimo anniversario della fine della guerra, il governo giapponese, allora presieduto al socialista Maruyama, ma formato in gran parte da ministri LDP, ha presentato alla Dieta (parlamento) una dichiarazione sulle responsabilità della guerra,che afferma: "Durante un determinato periodo di un passato non distante, il Giappone, seguendo una politica nazionale sbagliata, è proceduto lungo una via (che ha portato) alla guerra, unicamente per intrappolare il popolo giapponese in una crisi fatale e, attraverso il dominio coloniale e aggressione, ha inferto tremendi danni e sofferenze a molte nazioni, particolarmente a quelle dell'Asia". Alla dichiarazione Maruyama hanno in seguito fatto esplicito riferimento tutti i premier, Koizumi compreso.

È tuttavia significativo il fatto che l'allora parlamentare Abe non si è presentato alla Dieta il giorno della votazione della dichiarazione. Va però ricordato che Abe, non diversamente dai suoi due "avversari", ritiene assolutamente prioritario il miglioramento delle relazioni con Cina e Corea. Se verrà nominato primo ministro, come è virtualmente certo, l'esame delle sue reali intenzioni lo si avrà in Vietnam il prossimo novembre, quando in margine al raduno annuale dell'APEC (Asia Pacific Economic Cooperation) avrà modo di incontrarsi con il presidente cinese Hu Jintao e con quello sud-coreano Roh Moo-hyun. I funzionari del ministero degli esteri da mesi lavorano sodo perchè i due summit si realizzino e con effetti positivi.

 

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