31/08/2011, 00.00
ISRAELE - PALESTINA
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Sempre più aspra la guerra di Israele contro il seggio Onu alla Palestina

di Joshua Lapide
Secondo Israele, il riconoscimento del seggio all’Onu “è una minaccia più grave di quella di Hamas”. Dispetti e pressioni: tasse versate in ritardo; minacce di tagli agli aiuti ai palestinesi e all’Onu; divieto a Peres di andare a New York. I palestinesi sono riusciti a farsi riconoscere da almeno 120 Stati.
Gerusalemme (AsiaNews) – Minacce, avvertimenti, taglio di fondi, ritardi nei pagamenti e perfino il divieto a Shimon Peres di essere presente all’Onu: sono i mezzi con cui lo Stato d’Israele tenta fino alla fine di bloccare la richiesta dell’Autorità palestinese (Ap) di ottenere un seggio all’Onu come membro a parte intera o almeno come Stato non membro.

Il prossimo 20 settembre i palestinesi chiederanno a Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, di riconoscere la Palestina come membro dell’organismo internazionale, e come Stato i cui confini sono quelli del 1967. Con un enorme sforzo diplomatico che dura da mesi, i palestinesi sono ormai riusciti a trovare il sostegno di almeno 120 Stati, che riconoscono la Palestina nei confini del 1967 (ossia compresi i territori occupati e Gerusalemme est). Ieri il riconoscimento è avvenuto da parte di St Vincent e Grenadine; la scorsa settimana da parte di Honduras e Salvador. Anche la Cina ha dichiarato di voler votare per la Palestina come Stato indipendente.

La decisione dell’Ap di tentare il riconoscimento dell’Onu nasce dallo stallo in cui si trovano da più di un anno i dialoghi di pace, bloccati perché Israele continua a permettere nuovi insediamenti di coloni nei territori occupati e a Gerusalemme est e a far crescere quelli già esistenti, erodendo lo spazio geografico per un possibile Stato palestinese.

Ieri su Haaretz sono stati pubblicati stralci di un messaggio (segreto) di Ron Prosor, ambasciatore israeliano all’Onu, al Ministero degli esteri. In esso, Prosor teme che solo poche nazioni “voteranno contro l’iniziativa palestinese”.

Davanti al rischio di un fallimento di Israele nel bloccare il riconoscimento internazionale di uno Stato palestinese, la guerra contro l’iniziativa ha accresciuto i toni e le minacce.
Youval Steinitz, ministro israeliano delle finanze, ha dichiarato oggi che “questa iniziativa dei palestinesi costituisce una minaccia più grave di quella di Hamas a Gaza”. Hamas, il movimento armato islamista, che controlla la Striscia, si è riconciliato mesi fa con Fatah.
Come per ritorsione, Steinitz si è rifiutato di anticipare il versamento di fondi mensili all’Ap, con i quali questa avrebbe dovuto pagare i salari dei suoi impiegati prima della festa di Eid.

Dopo gli accordi di Oslo (1993), Israele versa all’Ap le tasse che esso preleva a nome di quest’ultima sulle merci che transitano nei porti e aeroporti israeliani. Questi fondi – oltre 700 milioni di euro all’anno – sono circa i due terzi del bilancio annuale dell’Ap. Anche nel maggio scorso, dopo la riconciliazione fra Hamas e Fatah, Steinitz – che appartiene al partito Likud - ha ritardato i versamenti.

Uzi Landau, ministro delle infrastrutture, ha minacciato che davanti al tentativo palestinese, “i nostri accordi… saranno cancellati”. Il ministro, membro del partito nazionalista estremista di Avigdor Lieberman, ha detto anche che “dovremo imporre la nostra sovranità sui settori dei territori [occupati]… e cioè la valle del Giordano e i grandi blocchi di insediamenti”.

Per evitare ogni appoggio ai palestinesi, il premier Benjiamin Netanyahu ha già dichiarato che egli non si recherà all’Onu per partecipare all’Assemblea generale. Quest’oggi, Haaretz pubblica dichiarazioni di diplomatici filo-israeliani a New York che consigliano di non inviare nemmeno il presidente israeliano, Shimon Peres, considerato “troppo filo-palestinese”.

L’Ap presenterà la domanda sul seggio per la Palestina il 20 settembre prossimo. I palestinesi potranno proporre direttamente all’Assemblea la loro richiesta. In tal caso, la Palestina potrebbe essere accettata, ma come Stato non-membro e la votazione potrebbe svolgersi verso il 25 ottobre.
Per divenire membro a parte intera occorre l’approvazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu dove quasi senz’altro gli Stati Uniti metteranno il veto.

Finora il presidente Obama ha tenuto un atteggiamento contraddittorio: da una parte egli desidera il riconoscimento di uno Stato palestinese “nei confini del 1967”; dall’altra ha già messo in guardia l’Ap dal compiere “gesti unilaterali” come il riconoscimento all’Onu.

Sul terreno l’atteggiamento Usa è più pesante: giorni fa, Daniel Rubinstein, console generale Usa Gerusalemme, incontrando a Gerico il negoziatore palestinese Saeb Erakat, ha minacciato un taglio di fondi di aiuto statunitensi all’Ap se essa continua nel suo progetto.

Quasi a realizzare una minaccia ancora più vasta, la parlamentare repubblicana Usa Ileana Ros-Lehtinen ha dichiarato ieri di voler promuovere un decreto (sostenuto già da 57 rappresentanti) per tagliare i fondi a qualunque organizzazione Onu che sostenga la richiesta dell’Ap.

Da parte sua, Mahmoud Abbas, presidente dell’Ap, ha dichiarato che egli fermerebbe la sua richiesta di seggio all’Onu solo se Israele ferma la costruzione degli insediamenti e l’ampliamento delle colonie, e riconosce come base per i negoziati i confini del 1967. “Senza di questo – ha detto – continueremo il nostro cammino all’Onu”.
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