07/04/2016, 15.07
COREA DEL SUD
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Seoul, pubblicati i “redditi” del buddismo Jogye: Promettiamo trasparenza

Per la prima volta, sulla scia di un decreto emanato dal governo, il popolare ordine religioso rende pubblico il volume delle donazioni per alcuni dei suoi maggiori templi. I primi due per ampiezza di Seoul hanno totalizzato nel 2015 circa 40 miliardi di won (36 milioni di dollari). I media lodano l’iniziativa e chiedono “case di vetro” per le religioni: “Fate come i cattolici”.

Seoul (AsiaNews) – L’Ordine buddista Jogye, la maggiore confessione per numero di aderenti in Corea del Sud, ha deciso di rendere pubblici i “redditi” dei suoi quattro maggiori templi “per migliorare la fiducia del pubblico nei confronti della nostra religione e lanciare una vera operazione trasparenza”. I luoghi di culto che hanno ricevuto più offerte sono il tempio Bongeunsa (parte sud della capitale) e il “quartier generale”, ovvero il tempio Jogyesa. Il primo ha raccolto 21,09 miliardi di won (18,3 milioni di euro), mentre il secondo è arrivato a 20,05 miliardi di won.

Il Paese ha circa 48 milioni di cittadini: di questi, 20 milioni aderiscono al buddismo (quasi tutti all'Ordine Jogye), ma il numero cala di anno in anno anche perché non esistono registrazioni ufficiali per l'adesione a questa setta. I cristiani sono il 26% della popolazione, di cui più dell’11% di fede cattolica. La decisione di pubblicare i “redditi” dei templi rappresenta una prima assoluta per l’Ordine, che perde fedeli anche a causa di diversi scandali, che hanno coinvolto la vita sessuale e finanziaria dei monaci.

Un editoriale apparso oggi sul Korea Herald loda la decisione del gruppo religioso: “Si tratta di un gesto serio e importante, come deciso dal venerabile Jaseung – capo dell’Ordine – circa un anno fa. Il buddismo in Corea è la religione più popolare, ma bisogna dire la verità: è ancora molto distante, nel campo della trasparenza, dalla Chiesa cattolica”. Va poi anche aggiunto che la scelta è in qualche modo imposta da un decreto legge, approvato dal Parlamento lo scorso dicembre 2015, che per la prima volta impone alle religioni di pagare le tasse sul “reddito”.

Secondo il nuovo regolamento, che entrerà in vigore nell’anno fiscale 2018, si pagherà secondo una scala di reddito: chi guadagna fino a 40 milioni di won l’anno (circa 32mila euro) pagherà una tassazione sul 20%, ma chi supera i 150 milioni di won (circa 122mila euro) potrebbe arrivare a pagare sull’80%. Più nebulosa la questione dei beni immobili, che saranno tassati secondo il loro valore catastale “una tantum” a meno che non ospitino esercizi commerciali. In questo secondo caso potrebbero essere equiparati a negozi.

La Corea del Sud conta circa 360mila religiosi fra cattolici, protestanti e buddisti. Con la nuova legge, il loro guadagno diviene “stipendio religioso” e non – come è stato fino a oggi – “onorario” quindi esentasse. La Commissione delle Chiese di Corea, uno dei gruppi protestanti più conservatori del Paese, attacca questa definizione: “Tassare coloro che operano per la religione significa trasformare le messe, i rituali e le celebrazioni in attività commerciali”.

Tuttavia, secondo una circolare emanata dall’allora arcivescovo di Seoul – lo stimato defunto cardinale Stefano Kim Sou-hwan – i sacerdoti diocesani versano in maniera volontaria il 10% dei propri guadagni allo Stato sin dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso. E molti fanno notare che le veementi proteste della comunità protestante sono più legate alle attività extra-religiose che allo stipendio dei pastori. Negli ultimi anni, infatti, una serie di scandali che ha colpito diverse “mega-chiese” protestanti soprattutto di Seoul hanno rivelato giri di affari milionari legati al mondo del pop coreano e dell’industria.

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