12/12/2011, 00.00
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Sfida del clima: a Durban un accordo senza obblighi per nessuno, né Cina né India

I colloqui si sono chiusi ieri con una soluzione che riunisce per la prima volta tutti i maggiori Paesi inquinanti, Stati Uniti, Cina e India, ma senza stabilire per il momento alcun tetto preciso alle emissioni, in attesa di un accordo vincolante, da raggiungere nel 2015. L’Alleanza delle organizzazioni di sviluppo cattoliche (Cidse) : “Deve essere fatto molto di più”.
Durban (AsiaNews) – I colloqui dell’Onu sul clima si sono chiusi ieri a Durban, in Sud Africa, con un accordo che disegna un percorso verso un nuovo accordo globale che riguarderà tutti i maggiori paesi inquinatori, compresi Cina e India entro il 2020. La decisione dei due Paesi asiatici di muoversi verso un accordo che avrà “forza legale” è importante perché Cina e India sono diventate due delle tre nazioni più inquinanti al mondo dal patto di Kyoto, firmato nel 1997 e che Cina e India hanno ratificato nel 2002 e messo in vigore nel 2005. I delegati a Durban hanno concordato sulla creazione di un trattato nel 2015, che diventerà obbligatorio a partire dal 2020.

Il ministro dell’Ambiente indiano, sig. a Jayanthi Natarajan, nel suo discorso ha rifiutato per ora l’idea di un tetto “obbligatorio” alle emissioni di gas serra: “Come posso dare un assegno in bianco a un accordo che obbliga legalmente, e così tradire i diritti di un miliardo e 200 milioni di persone e quelli di molti altri nel mondo in via di sviluppo?” ha esclamato. L’inviato cinese Xie Zhenhua ha dichiarato: “Questo è un nuovo accordo e noi appoggeremo ogni seria decisione presa qui che dimostri che un meccanismo multinazionale funziona per affrontare i cambiamenti climatici”.

Li Yan, attivista cinese di Greenpeace, ha parlato del ruolo della Cina a Durban: “Deve giocare un ruolo più importante nello sbloccare la situazione, e la Cina deve prepararsi all’interno ad accettare un accordo che la obblighi legalmente nei prossimi anni”. Gli ambientalisti e molte nazioni povere, più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti di clima hanno criticato i risultati dei colloqui. Ed è questa l’opinione anche dei cattolici impegnati nell’ambiente. L’accordo sul clima di Durban offre piccolo passi in avanti, ma non protegge i più poveri. L’Alleanza internazionale delle agenzie di sviluppo cattoliche, Cidse, afferma che l’accordo di Durban non fa abbastanza per prevenire cambiamenti climatici pericolosi e il suo impatto sui Paesi in via di sviluppo: siccità, inondazioni, cicloni, e le conseguenze sociali per le popolazioni:crisi alimentari, migrazioni.

Alla conferenza gli esausti rappresentanti governativi infine hanno raggiunto un accordo su un documento dopo aver prolungato di oltre 24 ore il tempo previsto per l’incontro. I miglioramenti raggiunti sul nuovo “pacchetto” in effetti spostano in avanti i negoziati, ma non sono sufficienti a salvaguardare i Paesi più vulnerabili che già stanno soffrendo per gli effetti negativi del cambiamento di clima, o per garantire che l’aumento delle temperature medie globali resti al di sotto dei 2 gradi Celsius.

La Cidse vede l’accordo finale di Durban come un passo verso la costruzione di un regime globale per il clima. Riconosce che il Green Climate Fund (un Fondo che agevolerà i trasferimenti di tecnologia e la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico) può rappresentare uno strumento finanziario per gestire il clima. Ma a dispetto di questi elementi importanti la mancanza di ambizione politica della Conferenza di Durban ha aumentato i rischi per l’equità climatica e le comunità a rischio, proprio nel momento in cui sono le meno responsabili per i livelli attuali, insostenibili, delle emissioni di gas serra (Ghg).

Il segretario generale del Cidse, Bernard Nilles, ha dichiarato: “Questa Conferenza africana ha creato molte aspettative da parte dei Paesi emergenti in ogni parte del mondo. I Paesi sviluppati hanno la responsabilità di rispondere ha questa richiesta di equità climatica. Questi accordi sono un primo passo, ma sfortunatamente sono troppo piccoli per risolvere i bisogni delle nazioni più povere. Deve essere fatto molto di più”.

“Il Protocollo di Kyoto non è stato cancellato a Durban, ed è ancora possibile in futuro una possibilità di accordo che obblighi legalmente a una riduzione di emissioni, ma non c’è chiarezza ancora sulla lunghezza o sulla quantità future di riduzione delle emissioni di questo periodo. Dobbiamo colmare rapidamente il divario fra ciò che si sta facendo e quello che il consenso scientifico giudica necessario per prevenire effetti che danneggiano il clima”, ha aggiunto.

Secondo la Cidse, la decisione raggiunta di un accordo sulla riduzione delle emissioni in tutti i Paesi è un passo importante, ma alcune preoccupazioni sono ancora senza risposta. Un accordo globale sulla riduzione contribuirà a risolvere la crisi globale se obbliga legalmente e sarà giusto se gli obiettivi di riduzione per ogni Paese saranno fissati sulla base del contributo storico di ogni Paese al livello attuale di gas serra. Inoltre, la messa in atto del Green Climate Fund è un passo in avanti, e uno strumento efficace per i Paesi in via di sviluppo, ma non sarà di nessun aiuto se non avrà una fonte di finanziamento affidabile e in tempi certi. Una forma di finanza innovativa che porterà denaro al Fondo deve essere ancora identificata, e questo non avverrà prima della Conferenza del Qatar l’anno prossimo. “E’ responsabilità dei Paesi in via di sviluppo di dare garanzie sulle fonti che finanzieranno il Green Climate Fund”.
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