28/07/2020, 08.26
RUSSIA
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Si allarga la protesta di Khabarovsk. Critiche al controllo centrale sull’economia

di Vladimir Rozanskij

Manifestazioni con migliaia di partecipanti nell’estremo oriente; nel nord, ad Arkhangelsk; a Mosca, dove sono state arrestate 20 persone. Preso di mira il putinismo e il modello sovietico che domina ancora nella società.

Mosca (AsiaNews) - Non si fermano le proteste nella regione di Khabarovsk, dopo l’arresto del governatore Sergej Furgal, che nei giorni scorsi è stato sostituito d’autorità da un suo compagno di partito (liberal-nazionalista) Mikhail Degtarev (v. foto), più fedele al presidente Putin. Diverse migliaia di manifestanti scendono in piazza per protestare contro il centralismo “coloniale” di Mosca nelle regioni dell’Estremo Oriente russo, ad Arkhangelsk nell’estremo nord, e nella stessa capitale, dove già 20 persone sono state arrestate per le proteste.

La “rivolta di Khabarovsk” è ormai un affare nazionale, e rischia di diventare l’evento più importante della vita politica del Paese nel 2020, anno della pandemia che non accenna a scomparire (ieri ancora seimila casi positivi, con quasi 100 deceduti). La stessa nomina di Degtarev, mentre ancora sono in corso le indagini per i crimini attribuiti a Furgal, è apparsa agli occhi dei cittadini di Khabarovsk una vera provocazione. Al posto di un populista che aveva mostrato di interessarsi dei problemi della gente, è stato messo un grigio funzionario “asservito” al potere centrale, per di più “traditore” del suo stesso compagno di lotte.

Le ragioni delle proteste mettono in evidenza la fragilità dell’economia e della coesione sociale russa, basata sulla divisione delle risorse di sovietica memoria. Ai tempi di Breznev, la pianificazione era organizzata sulle percentuali fittizie della burocrazia, mentre in realtà era il partito con i suoi funzionari corrotti a decidere le sorti delle varie situazioni locali. Su 89 regioni della Federazione, solo 13 hanno un bilancio in attivo (erano 35 nel 1993, e 25 nel 2001), mentre le altre vivono di dotazioni statali decise da Mosca. Khabarovsk, per esempio, ha un territorio pari quasi a quello della Turchia, e molto più grande della Francia, pur avendo solo un milione e 300 mila abitanti. Essa deve vivere con l’assegnazione annuale di circa 6 miliardi e mezzo di rubli (77 milioni di euro). La Jacuzia, un’altra regione orientale grande come l’India, riceve 52 miliardi per una popolazione molto inferiore a quella di Khabarovsk, essendo la regione dell’estrazione dell’oro e dei diamanti che riempiono le casse statali.

La popolazione di Khabarovsk difende il discusso Furgal proprio perché tentava di trattenere risorse per la popolazione locale, mettendo in discussione l’intero sistema delle dotazioni statali e il controllo centrale sull’economia.

L’estensione delle proteste è un allarme di estremo pericolo per il futuro del putinismo, che credeva di mettersi al sicuro con le riforme costituzionali e l’edificazione di chiese celebrative delle vittorie.

Putin sembra non voler comprendere, anzi negare alla radice, i mali dell’economia e i malumori delle regioni; nei giorni scorsi ha presentato il piano per i prossimi 10 anni, i progetti nazionali da realizzare entro il 2030, in cui si parla delle “capacità di autorealizzazione” delle energie positive del Paese e della “imprenditoria di successo”, proprio mentre il mercato russo sembra andare incontro a una catastrofe di dimensioni imprevedibili, dopo i mesi della pandemia. Dietro i “25 milioni di imprenditori” decantati dal presidente, la popolazione vede la solita casta degli oligarchi che svendono la Russia al migliore offerente, a Oriente e a Occidente.

Va detto che in Russia il modello sociale è ancora profondamente sovietico nell’anima, e non prevede la partecipazione attiva dei cittadini alla politica e all’economia. Anche la giustizia pare asservita agli interessi della dirigenza centrale, e il sistema elettorale sembra essere ormai ridotto a una commedia, con la nuova legge proposta delle “elezioni in più giorni” sul modello del farsesco referendum di fine giugno per la Costituzione. Le proteste, questa volta, potrebbero sfociare davvero in qualcosa di molto più serio.

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