15/12/2010, 00.00
INDIA - TIBET - CINA
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Studenti tibetani: “la nostra indipendenza, sicurezza dell’India”

Studenti tibetani e indiani manifestano per l’arrivo del premier cinese Wen Jiabao: chiedono un Tibet indipendente, anche per rendere sicuri i confini indiani minacciati da Pechino. Leader cristiano chiede il rispetto dei diritti umani e iniziative concrete per la pace nella regione.

New Delhi (AsiaNews) – Indipendenza per il Tibet, sicurezza per l’India, libertà per Liu Xiaobo, giustizia nei Paesi dell’Asia meridionale. Per la visita del premier cinese Wen Jiabao, che arriva oggi in India, studenti tibetani e indiani e gruppi cristiani ricordano a New Delhi di pensare ai diritti umani e non soltanto al commercio.

Oggi a New Delhi hanno dimostrato centinaia di tibetani, sventolando bandiere e cantando slogan, per protestare contro “l’occupazione e l’oppressione” cinese in Tibet, come indicano gli organizzatori del Tibetan Youth Congress (nella foto: un momento della manifestazone di ieri davanti all'India Gate, New Delhi).

Altre centinaia di studenti tibetani e indiani hanno steso uno striscione con scritto “Indipendenza del Tibet: Sicurezza dell’India” a Raighat, luogo della cremazione del Mahatma Gandhi, leader del movimento di indipendenza indiano. I giovani di Students for a Free Tibet (Sft) e gli studenti indiani chiedono a Wen di far finire 60 anni di occupazione in Tibet dal 1949 e circa 50 anni di dispute territoriali con l’India.

Pechino rivendica come suoi l’Aksai Chin e l’Arunachal Pradesh, dicendo che da sempre sono zone tibetane e che la Cina ha, appunto, annesso il Tibet. L’India risponde che questi territori sono suoi dall’indipendenza nel 1949 e che l’influsso tibetano nella regione era sempre stato pacifico e non militare. I due Stati hanno anche combattuto una guerra nel 1962, vinta dalla Cina, e da allora i rispettivi eserciti presidiano il confine: soprattutto l’India teme un blitz cinese per impossessarsi di nuove zone.

Gli studenti osservano che l’indipendenza del Tibet servirebbe anche a porre fine questa disputa territoriale.

Rigzin Spalgon, studente di Ladakhi (regione indiana himalayana e buddista) e dirigente di Sft, osserva che “l’illegale infiltrazione cinese nel territorio sovrano dell’India non finirà fino a che il Tibet non sarà di nuovo una nazione libera e indipendente”, così da assicurare “pace e stabilità per la gente che vive lungo il confino indo-tibetano”.

Shibayan Raha, altro dirigente di Sft, specifica che si vuole così “mandare un chiaro messaggio a Wen Jiabao, che i giovani dell’India non tollereranno lo sfacciato tentativo della Cina di colonizzare parte dell’India, né rimarranno silenziosi mentre la Cina continua a sopprimere in modo brutale la popolazione tibetana”. “Il popolo dell’India sostiene in modo pieno la richiesta non-violenta dei tibetani per la libertà”. I manifestanti chiedono a New Delhi di riconoscere in modo aperto “il diritto del popolo tibetano all’indipendenza, una posizione che anche rafforzerà la posizione dell’India nei negoziati con la Cina per i confini”.

E’ la prima visita di Wen dopo le proteste in Tibet nel marzo 2008, represse dall’esercito cinese nel sangue, con oltre 200 morti ufficiali e migliaia di arrestati, molti dei quali ancora in carcere. Da allora la situazione è andata peggiorando, con la sistematica repressione di monaci e intellettuali.

Anche Sajan George, presidente del Consiglio Globale degli Indiani Cristiani (Gcic) invita New Delhi a non dimenticare i diritti umani, e anzitutto il dissidente Liu Xiaobo, in carcere per la sua lotta per la democrazia e la libertà in Cina, premio Nobel per la Pace 2010.

Ad AsiaNews ricorda a “India e Cina, quali colossi dell’Asia,  il rispetto per i diritti umani e l’opera per la pace nell’Asia Meridionale. Il Gcic chiede a entrambi gli Stati di intervenire in Myanmar dove la giunta militare ha tenuto un’elezione-farsa, come pure di negoziare con la Corea del Nord che ha armi nucleari, nonché le violazioni dei diritti umani nello Sri Lanka per un’indagine imparziale circa gli attacchi contro le Tigri Tamil, durante i quali l’esercito cingalese ha ucciso circa 50mila civili”. (NC)

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