27/10/2017, 15.06
IRAN - STATI UNITI
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Studio Ucla sconfessa Trump: l’Iran non Stato canaglia, ma una società in evoluzione

La Repubblica islamica non una democrazia “falsa”, ma una nazione “attiva” pur a fronte di “vincoli”. Non è uno Stato assistenziale come le monarchie del Golfo. E vi è un’alta partecipazione popolare in occasione degli appuntamenti elettorali. Fondamentale “istituzionalizzare” il passaggio di potere dall’ala radicale alle aree moderate e riformiste.

Teheran (AsiaNews) - L’Iran non è una democrazia “falsa in tutto”, quanto piuttosto una nazione dinamica, con un apparato politico e una società civile che presentano “vincoli” ma sono pur sempre “attivi” e vitali in un contesto in evoluzione. È quanto emerge da un recente studio dell’Università della California di Los Angeles (Ucla), che contraddice in larga parte l’opinione che viene diffusa dai circoli di potere di Washington e dal presidente Usa Donald Trump - che lo ha definito “Stato canaglia” - sulla Repubblica islamica.

In un periodo in cui la Casa Bianca è impegnata a formulare una nuova politica verso l’Iran, sconfessando i passi compiuti dal predecessore Barack Obama a partire dall’accordo sul nucleare (il Jcpoa), è importante compiere analisi serie e approfondite sul Paese, le istituzioni, il popolo. Da qui la decisione di un gruppo di studiosi dell’ateneo di Los Angeles, che hanno voluto elaborare una ricerca accurata su una società giudicata “in rapido cambiamento”.

Intitolato “Iran Social Survey”, lo studio elaborato nel dicembre 2016 su un campione di oltre 5mila cittadini iraniani, rappresenta la prima inchiesta su scala nazionale negli Usa della società che anima la Repubblica islamica dal 1979, anno della Rivoluzione. Essa contiene dati sulla storia familiare, sul comportamento dell’elettorato, l’identità etnica e le relazioni contemporanee che caratterizzano la società e lo Stato.

Il presidente Usa Trump e parte dell’establishment considerano l’Iran uno Stato di polizia, con una popolazione oppressa e desiderosa di rivoltarsi contro la classe al potere e i suoi rappresentanti, bollati come leader tiranni. Certo, lo studio non vuole portare la Repubblica islamica come modello di democrazia e di virtù, ma chiarisce che lo Stato e le istituzioni non sono quel sistema monolitico che non si può scalfire, né scalare, come dipinto a Washington. “Non voglio negare il consolidamento brutale dello Stato nato dalla rivoluzione” afferma il curatore dello studio Kevan Harris, quanto piuttosto mettere in mostra “i diversi modi in cui il governo si rapporta con la società”. La visione di un regime che sceglie tre o quattro candidati da sottoporre al popolo è sbagliata, così come l’idea di uno Stato assistenziale che sfrutta i proventi del petrolio per pagare salari e tenere nella morsa la gente. Questo, piuttosto, corrisponde al modello del Venezuela di Hugo Chávez ai tempi d’oro o le attuali monarchie del Golfo (tanto care agli Usa). 

Secondo Harris il corpo politico e istituzionale iraniano è molto più complesso di quanto non appaia, e non vi è alcuna correlazione fra benefici di Stato e partecipazione al voto o preferenza di partito, che rimangono elementi disgiunti. Un altro elemento sorprendente, aggiunge lo studioso, è il grado di partecipazione e impegno alle campagne elettorali. Ne è esempio l’impegno in prima persona dei candidati della circoscrizione elettorale di Tabriz, all’ultima campagna, intenti a distribuire biglietti da visita ai cittadini per la pubblica via, cercando quasi un sostegno porta a porta. “Sono cose - afferma - che non è facile osservare oggi al di fuori dell’Iran”.

Da ultimo vi è anche la questione della graduale transizione di potere, nel tentativo di sottrarlo al controllo dell’ala conservatrice e radicale che finora ha mantenuto la guida del Paese. Per l’autore della ricerca oggi vi è davvero lo spazio per una affermazione di riformisti e moderati, come testimoniato dalle affermazioni dell’attuale presidente Hassan Rouhani che, nel maggio scorso, è stato rieletto per il secondo mandato. “Un Iran con un sistema maggiormente democratico - conclude Harris - non è una nazione in cui è scomparsa l’ala destra” quanto piuttosto un Paese in cui la cessione del potere è avvenuta “istituzionalizzandone il passaggio”.

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