26/05/2017, 08.34
TAIWAN
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Suor Ida Porrino: inviata in Pakistan dopo 45 anni a Taiwan

di Ida Porrino

Il racconto personale della vocazione fra le Figlie di san Paolo, le resistenze della famiglia e la scoperta della ricerca di Dio fra i buddisti. Il bisogno di perdono fra i giovani, l’aborto, le famiglie incrinate. Il nuovo orizzonte della missione a Lahore (Pakistan).

Taipei (AsiaNews) – Presentiamo qui l’appassionante storia di Sr Ida Porrino, missionaria italiana delle Figlie di san Paolo, che ha vissuto per 45 anni a Taiwan e ora viene inviata in missione in Pakistan. Con umorismo e partecipazione, Sr. Ida racconta la ricerca di Dio nelle religioni non cristiane; la conversione dei giovani; l’amore vissuto caricandosi dei drammi degli altri; la ricostruzione delle famiglie.

Sono nata a Montegrosso (Costigliole d’Asti) sesta di otto figli di una famiglia contadina. Mia mamma rispettava le nostre decisioni. Lei voleva che i figli trovassero la loro strada e fossero contenti. Mio papà invece voleva che facessi l’infermiera, diceva che le suore non hanno una posizione molto alta nella Chiesa. Mio fratello era entrato in seminario dai salesiani e poi è uscito, io ho sentito che dovevamo qualcosa alla Chiesa: un figlio sacerdote sarebbe stato meglio, ma, in fondo, anche una suora andava bene!”

Perché ho scelto le Figlie di san Paolo? Le suore salesiane mi seguivano, per via di mio fratello, ma a dir la verità non mi attiravano. Una volta sono venute nella nostra parrocchia le Figlie di san Paolo, le ho viste piene di vita e spontanee, non ci sgridavamo per il vestito troppo corto o troppo lungo o per dover portare il velo quando si andava a messa.

Se si può diventare suore mantenendo la propria originalità posso pensarci. Io facevo la scuola media. Poi sono andata ad Alba a fare le scuole magistrali, mio fratello, quello che aveva pensato inizialmente ad essere salesiano, è invece diventato avvocato perché mio papa investiva nel nostro futuro e nella nostra istruzione.

L’apostolato di Don Alberione

Quando facevo le magistrali ad Alba vivevo nel dormitorio che apparteneva alle Figlie di San Paolo. Poi ho conosciuto don Alberione e le suore che lo avevano seguito. Mi colpiva il loro fervore e l’ambiente di famiglia in cui vivevano. Don Alberione era piccolino, un po’ gobbo, in un primo momento sono rimasta delusa: ero abituata a vedere contadini robusti nella mia famiglia. Ma subito dopo, ascoltando una sua omelia ho capito le ragioni che facevano di lui un uomo che trascinava e ispirava il cuore delle persone. Se aggiungiamo che la vita delle suore mi attraeva per il loro stile di appartenenza più ad una famiglia e che ad un istituto, per il fatto di non essere troppo strutturate ma di lasciare spazio al contatto umano, risulta facile capire a posteriori le ragioni della mia scelta. Ad esempio non si conoscevano le punizioni. Se mio fratello nel seminario minore avesse rotto un bicchiere, la famiglia doveva pagare. Per noi non era così. Ricordo con molta chiarezza che inavvertitamente avevo rotto una delle macchine per la stampa dei libri. La responsabile mi chiama e mi dice il prezzo del danno causato ed io penso subito: “L’ho fatta davvero grossa, adesso chi dice a mio papà che bisogna pagare il costoso pezzo di ricambio?” Ma inaspettatamente lei mi dice che vuole che io sappia il costo non per farmi pagare il danno ma perché io capisca il prezzo delle cose. Questo tipo di atteggiamento ti fa sentire parte della famiglia e ti responsabilizza. Così quella settimana ho fatto volontariamente gli straordinari più lunghi per tutti i cinque giorni lavorativi.

Mi piaceva la loro vita di apostolato, andare nelle famiglie e provare nuove vie di approccio alla gente: ricordo che un anno siamo andate vestite in borghese sulle spiagge, se fossimo andate vestite con l’abito non saremmo state accettate di sicuro!

 

Alla fine della mia formazione è comunque arrivato un momento di crisi interiore. Sono così tornata a vivere in borghese per un certo periodo. In quel momento non sapevo più perché mi ero fatta suora: avevo preso la decisione in età troppo giovane? Oppure volevo riparare il fatto che mio fratello avesse lasciato il seminario? Sono stata fuori quasi un anno. Ero libera di tornare a casa ma non volevo tornare nella mia famiglia, non sarebbe stato l’ambiente adatto per una decisione definitiva. Cosi ho vissuto nella foresteria aiutando le suore, ma conducendo una vita indipendente. Ho fatto gli esercizi in un istituto di clausura: nel frattempo avevo anche conosciuto anche un giovane molto in gamba: dovevo sposarmi? dovevo fare semplicemente servizio sociale? oppure la maestra elementare? Intanto il tempo passava e non riuscivo a venire a capo di questo dilemma, ero arrabbiata con Dio, non capivo che cosa avrei dovuto fare. Poi ho cominciato a pensare più seriamente: che cosa offro a Dio? Gli offro la mia capacità di amare e la mia libertà. Dandogli queste due cose mi sono sentita appagata, se invece avessi dato solo qualcosa di marginale mi sentivo dentro di me di non essere abbastanza generosa con Dio.

Ho fatto poi la professione perpetua quando ero di nuovo contenta di me stessa, quando mi sembrava di essere tornata ai tempi del fidanzamento: sentivo dentro di me tutta una forza nuova.

A Taiwan fra i non cristiani

Fare la professione perpetua dopo una crisi profonda è stato come passare attraverso il deserto e l’esperienza pasquale. Quindi ho chiesto di fare la professione perpetua per Pasqua, il 2 aprile 1972. Allo stesso tempo, la superiora generale aveva bisogno di 22 missionarie per l’America Latina, l’Africa e l’Asia. Io ho fatto richiesta di essere inviata ma, a dire la verità, pensavo che, essendo appena uscita da una crisi interiore, non si sarebbero fidate di me perché non davo garanzie. Invece è arrivata la lettera di accettazione per le missioni. La mia preferenza era per la Bolivia, per questo ho incominciato a studiare spagnolo da sola. Poi è arrivata una delle consigliere generalizie, che ha detto che la lista per l’America Latina era già piena. E subito aggiunge: “Tu andrai a Taiwan”. “Taiwan?! Dov’è Taiwan?!” chiedo. Dato il mio carattere, io non mi sentivo adatta per l’oriente, pensavo che là sono tutti educati e contenuti. Ma le mie obiezioni non reggevano, la superiora generale aveva già deciso.

Poi non sapevo come dirlo alla mia famiglia, perché eravamo molto legati. Mia mamma allora mi ha chiesto: “Dove ti mandano?” Ho detto “Un po’ lontano”. E lei: “A Roma?” Poi ha capito ed ha accettato questa mia missione, mentre i miei fratelli e mio padre volevano andare a incontrare la mia superiora per dissuaderla. Io ero titubante ma poi, facendo un bellissimo corso per missionari mi sono sentita molto incoraggiata e ho trovato la molla per partire.

Sono arrivata a Taipei 45 anni fa, il primo dicembre 1972. Sono partita senza paura ma quando sono arrivata qui all’aeroporto avrei voluto risalire subito sul volo di ritorno e tornare a casa. Non capivo nulla di quello che dicevano e mi chiedevo: ‘Dove sono capitata?’ Però il Signore mi conosceva più di quanto io conoscessi me stessa e mi sono trovata molto bene qui in Oriente. L’arte orientale e la musica mi hanno attirato moltissimo, la calligrafia nei dipinti cinesi è diventata un motivo di consolazione e di ispirazione. Trovarmi con gente non cristiana è stata sicuramente una grande sfida: dovevo rispondere a domande che nessuno mi aveva mai posto. Ho scoperto ragioni ancora più profonde per la mia fede che mai avrei cercato se fossi rimasta in un ambiente tutto ‘cattolico’.

Ho visitato i templi buddisti per capire che approccio avere con i fedeli di altre religioni. Ad esempio il tempio vicino a noi era stato costruito da un generale dell’esercito che durante la guerra aveva ucciso moltissime persone e per questa ragione non riusciva a trovare la pace. Poco a poco questo generale rinchiudendosi a vivere nel tempio ha ritrovato la sua tranquillità interiore. Riflettendo sulla missione di Gesù ho capito più profondamente il fatto che lui si era incarnato per avvicinarsi a noi. In Europa non avrei mai pensato a certi temi. Ora invece, quasi 50 anni dopo, l’Europa è tornata ad essere terra di evangelizzazione! Forse possiamo condividere le nostre esperienze di missione e far vedere ad esempio come la gente quando ha problemi viene a pregare con noi, così usiamo allo stesso tempo salmi della Bibbia e poesie di saggi orientali.

La strada del perdono

Le esperienze apostoliche e pastorali qui a Taiwan sono state bellissime. Un ragazzo, battezzato da piccolo ma poi allontanatosi della vita di fede, che lavorava in un incarico del governo di alto livello, un giorno è venuto e ha cominciato a raccontarmi la sua vita. Quando ha finito mi ha chiesto l’assoluzione, dicendo che un sacerdote non l’avrebbe capito. Io invece l’ho convinto ad andare da un sacerdote anziano il quale però in quell’occasione è stato molto stretto. Il giovane è tornato in libreria depresso. Io ho sentito un senso di colpa, e lui mi ha confermato: ‘’Te l’avevo detto che non avrebbe funzionato!” Allora gli ho consigliato un sacerdote giovane. Ricordo che c’era il tifone e pioveva ininterrottamente. Ho chiamato il prete e gli semplicemente detto: “Arriverà un giovane per una confessione, ricordati che Dio è amore”. Il sacerdote è stato molto comprensivo, il ragazzo è stato molto colpito da questo sacerdote che lo aspettava tutto bagnato fuori sulla strada per offrirgli il tempo per la confessione. Quel giovane da quel giorno ha cominciato a ricostruire se stesso e la propria vita. In un‘altra occasione, alla fiera internazionale del libro qui a Taipei (台北國際書展, TIBE) ricordo che una volta è arrivata una donna in lacrime e mi ha raccontato la sua esperienza familiare molto difficile. Il marito la trattava peggio di una serva. Una volta lei è entrata in una chiesa e ha visto il crocifisso e ha detto subito “Questa è la mia religione. Il buddismo mi aiuta ma non mi toglie la sofferenza: se questo Dio dà senso alla sofferenza, questa è la mia religione”. Dopo il battesimo ha trovato la forza per affrontare il marito e per farsi rispettare come moglie e come donna lei ha incontrato Gesù direttamente, senza nessuna mediazione di missionari o di altri fedeli. Questo mi piace della nostra vita: il fatto che il nostro apostolato ci porti negli ambienti di vita della gente reale. Ad un’altra fiera internazionale, una ragazza di 23 anni mi confida che aveva appena avuto un aborto: era buddista e si chiedeva quante volte avrebbe dovuto rinascere per pagare il fatto di aver negato la vita al suo bambino. Le ho semplicemente detto: “Dallo a me questo bambino e io restituisco il debito che gli devi”: ricordo che anche in comunità abbiamo pregato per il suo bambino. È nata una forte amicizia con lei. La ragazza si è sentita risollevata da quel nostro incontro, le sembrava di aver scaricato un peso assurdo che ogni giorno gravava sul suo stato d’animo interiore. Credo che queste siano esperienze molto profonde di condivisione, forse impensabili in altre vocazioni.

L’invio in Pakistan

Ora sto per iniziare un altro capitolo della mia vita: la superiora generale, suor Anna Maria Parenzan mi ha chiamata il mese scorso e mi ha detto: “Siccome ora non sei più la superiora provinciale e tra le nostre sorelle in Asia adesso sei quella più libera, ti invio in Pakistan, abbiamo 18 suore in quella regione, impara l’urdu e parti!”

Io non avevo pensato a un cambio così grande. Mi sento come Nicodemo: “Come può un anziano rinascere?” metto questa nuova avventura nelle mani di Gesù. Quando me l’hanno detto mi sono sentita scossa interiormente. La nostra vita in Pakistan a volte non è facile, ma so che mi pentirei se rifiutassi. Non so il risultato ma so che ora posso offrire me stessa. Da Taiwan porto esperienze ricchissime, perfino dalla cucina. Dopo il primo momento di incertezza, ora mi sento più libera e meno apprensiva per il futuro, anche se spesso mi sento molto impaziente.

[Chiediamo a suor Ida di firmare il libro illustrato (聖保祿孝女會來台50週年紀念) che era uscito per il 50mo anniversario dell’arrivo delle Figlie di san Paolo a Taiwan. Lei commenta] ”Abbiamo iniziato la nostra missione a Kaohsiung, e qualche anno fa con le nostre suore abbiamo scritto il libro, sono tante esperienze insieme corredate dalle illustrazioni di una famosa artista, 許書寧, autrice di diversi libri, sposata con un artista giapponese. Lei era interessata alle storie delle suore giovani, voleva scrivere le nostre esperienze in maniera umoristica e così abbiamo raccolto i nostri ricordi e le nostre storie taiwanesi.

Il fatto di scrivere e diffondere libri con contenuti costruttivi è molto importante, è al cuore della nostra missione: ricordo che andavamo a visitare le famiglie vicino ai francescani di Taishan (泰山) e abbiamo conosciuto una sarta. Quando le abbiamo venduto un libro sulla famiglia l’ha comprato e ci ha fatto andare via. Dopo due anni ci ha fatto entrare a casa sua e abbiamo visto il suo interesse per i libri sulla famiglia. Poi ci ha raccontato che quando eravamo passate due anni prima lei stava separandosi dal marito, ma grazie al libro che conteneva consigli molto semplici sulla vita di coppia, ha cominciato a prestare molta attenzione ai dettagli di ogni giorno, a cucinare piatti molto buoni per il marito e le figlie. Lui ha capito che lei gli voleva bene, e lei ha cominciato a condividere con il marito i libri che stava acquistando e che l’avevano aiutata a cambiare, in modo che aiutassero anche lui e le loro figlie. Questo è l’esempio di una famiglia che in quell’occasione ha trovato ispirazione dal contenuto dei nostri libri, e questo mi ha fatto capire l’importanza dei media. Ora in Pakistan continuerò questa missione, abbiamo diversi negozi, tra cui uno sulla strada principale di Lahore!

(Ha collaborato Xin Yage)

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