04/01/2018, 08.50
IRAN
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Teheran: i Pasdaran dichiarano la ‘fine della rivolta’, ma resta la tensione

Il gen. Ali Jafari plaude alla “sorveglianza del popolo” che ha portato alla sconfitta dei nemici. E accusa monarchici, anti-rivoluzionari e forze “nemiche” esterne all’Iran. Ma in alcune città restano focolai di tensione. Trump continua a soffiare sul fuoco della rivolta e promette sostegno “al momento giusto”.

 

Teheran (AsiaNews/Agenzie) - La “rivolta” in Iran in atto da giorni, caratterizzata da violente proteste promosse dai giovani e represse con la forza causando decine di morti e centinaia di arresti, è stata “sconfitta”. A darne l’annuncio, nel tardo pomeriggio di ieri, il capo dei Guardiani della rivoluzione (Pasdaran) gen. Mohammad Ali Jafari, mentre decine di migliaia di manifestanti pro-governativi erano in piazza a difesa della leadership - politica e religiosa - di Teheran.

La rivolta ha preso il via il 28 dicembre scorso nella città di Mashhad e ha contato sinora almeno 23 vittime. Le proteste, in un primo tempo contro l’aumento dei prezzi e la corruzione, si sono allargate fino a prendere di mira l’esecutivo. Si tratta delle manifestazioni più imponenti dalla controversa rielezione del presidente conservatore Mahmoud Ahmadinejad nel 2009. E pur senza citarlo, il generale Ali Jafari ha accusato lo stesso Ahmadinejad di aver in qualche modo alimentato i torni della protesta, trasformandola in rivolta di piazza. “Tutto è avvenuto - ha dichiarato l’alto esponente dei Pasdaran - dopo un appello diffuso da un sito legato a una persona che oggi parla contro il sistema islamico”. Di recente l’ex presidente ultraconservatore ha criticato a più riprese funzionari governativi e, in particolare, il capo della magistratura Sadegh Amoli Larijani.

“Oggi [3 gennaio, ndr] possiamo dire che sia la fine della rivolta del 96” ha quindi proseguito il gen. gen. Mohammad Ali Jafari, con un riferimento all’anno corrente in Iran, il 1396 secondo il calendario persiano. “L’alto livello della sicurezza e la sorveglianza del popolo” hanno portato alla sconfitta dei “nemici”, tanto che i Guardiani della rivoluzione sono dovuti intervenire in modo “limitato” in sole tre province. Per l’alto militare vi erano un massimo di 1500 persone in ogni città e il numero dei contestatori “non ha superato i 15.000 in tutto il Paese”. Egli ha infine puntato il dito contro agenti contro-rivoluzionari, monarchici e forze “nemiche” esterne all’Iran, come aveva sottolineato - pur senza fare riferimenti espliciti - la stessa guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, nei giorni scorsi.

Se i vertici del Paese dichiarano la fine della rivolta, alcune agenzie internazionali riferiscono di tensioni ancora in atto nella notte scorsa, con nuove proteste nella città di Malayer, nella provincia occidentale di Hamadan. I dimostranti hanno intonato canti, fra cui “Le persone mendicano, la guida suprema si atteggia come un Dio”. Altri dimostranti a Nowshahr scandivano lo slogan “morte al dittatore”.

Intanto si ammorbidiscono i toni dei vertici delle Nazioni Unite, che nei giorni scorsi hanno criticato con forza “la perdita di vite umane nelle manifestazioni”. Nel secondo comunicato diffuso ieri a firma del segretario generale Antonio Guterres si rinnova l’invito a “evitare la violenza” e che tutte le manifestazioni si svolgano “in modo calmo”. E chiede una volta di più ai vertici di Teheran di “rispettare il diritto” delle persone di “riunirsi e manifestare in modo pacifico la libertà di espressione”.

Di contro, il presidente Usa Donald Trump continua a soffiare sul fuoco della rivolta rinnovando il suo apprezzamento per la scelta del popolo iraniano di manifestare, promettendo anche il sostegno degli Stati Uniti “al momento giusto”. Nell’ennesimo messaggio affidato a twitter, ormai diventato cassa di risonanza della politica estera americana, il tycoon ha espresso “grande rispetto” per la gente che cerca di “riprendere il controllo del suo governo corrotto”.

 

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