24/10/2012, 00.00
TIBET – CINA
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Tibet: nuova auto-immolazione, settima in un mese per protesta contro Pechino

Dorje Rinchen, 58 anni, si è dato fuoco nei pressi del monastero di Labrang ed è morto per le ferite riportate. La polizia ha cercato di occultare il cadavere, ma l’intervento della folla ha respinto l’assalto. In risposta, gli agenti hanno impedito ai monaci di rendere l’estremo saluto alla salma. Il dramma tibetano nodo scoperto per la leadership di Pechino.

Dharamsala (AsiaNews) - Un tibetano si è dato fuoco di fronte a una caserma della polizia, poco distante il celebre monastero di Labrang, nella provincia cinese di Gansu, ed è morto a causa delle ustioni riportate. Secondo fonti locali, citate da Radio Free Asia (Rfa), il gesto estremo si è consumato ieri pomeriggio verso le 3.30 ora locale, ed è la settima persona a darsi fuoco in questo mese per protestare contro il dominio di Pechino nella regione. Dorje Rinchen, 58 anni, ha deciso di uccidersi nella via principale di Labrang, nei pressi dell'omonimo monastero, molto noto nel Tibet orientale per la propria opposizione alle politiche cinesi. I monaci di Labrang sono famosi per aver messo in atto una protesta anti-Pechino nel 2008, durante la visita di un gruppo di giornalisti occidentali.

Nella cittadina di Labrang, Prefettura tibetana di Kalho, è ancora alta la tensione, con le forze di sicurezza cinesi intente a presidiare strade e luoghi di ritrovo. Nelle fasi successive all'auto-immolazione la polizia ha cercato di sequestrare in tutta fretta il corpo, incontrando l'opposizione della cittadinanza. I tibetani si sono scontrati con gli agenti, riuscendo infine a prelevare il cadavere di Dorje Rinchen e a riportarlo presso la sua abitazione.

Nel frattempo le forze di sicurezza cinesi hanno sbarrato il passaggio ai monaci di Labrang, che si stavano recando nella casa della vittima per renderge l'ultimo saluto. In risposta, i religiosi buddisti - assieme a un gruppo di abitanti della zona - hanno recitato preghiere e inni per la strada, poco lontano l'abitazione dell'uomo protetta da un rigido cordone di polizia.

L'auto-immolazione di ieri è la terza negli ultimi giorni nella provincia cinese di Gansu e la settima nel solo mese di ottobre in tutta la Regione autonoma tibetana. Il totale dei roghi sale così a 58 dal febbraio 2009, quando sono iniziate le proteste contro quello che viene definito "imperialismo" di Pechino nell'area, per una piena libertà religiosa e per chiedere il ritorno del leader spirituale dei tibetani, il Dalai Lama.

Per arginare il dramma di monaci e gente comune che decide di darsi fuoco, la comunità tibetana in esilio ha deciso di riunirsi in seduta plenaria a fine settembre, per la prima volta in quattro anni, per proporre una nuova politica che possa fermare questa serie di suicidi. Oltre 400 tibetani da tutto il mondo - delegati eletti nelle varie comunità della diaspora - si sono riuniti a Dharamsala, sede del governo del Dalai Lama sin dalla fuga da Lhasa.

Invece di adottare una politica conciliatoria, il Partito comunista cinese in Tibet ha aumentato il livello di repressione. I monasteri della regione sono blindati e guardati a vista dalla polizia speciale, le lezioni di lingua tibetana sono proibite, la pratica religiosa è di fatto impedita. Il Partito è arrivato a proibire le auto-immolazioni "pena una condanna in carcere di 5 anni". Il Dalai Lama, leader spirituale della comunità, ha detto più volte di "comprendere" i motivi che spingono al sacrificio, ma ha chiesto ai suoi fedeli di "non sprecare" le proprie vite. 

 

 

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