15/03/2007, 00.00
GIAPPONE
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Tokyo chiude la polemica sulle “donne-conforto”

di Pino Cazzaniga
Marcia indietro del premier Abe, dopo una ambigua dichiarazione sulla storicità dei documenti che provano il reclutamento delle schiave sessuali da parte dell’esercito.

Tokyo (AsiaNews) – Sembra superata la tensione che aveva provocato un’ambigua dichiarazione rilasciata il primo marzo dal primo ministro giapponese Shinzo Abe a proposito della questione delle “donne-conforto”, eufemismo usato per indicare le decine di migliaia di schiave sessuali costrette a “confortare” i soldati dell’armata nipponica. Alla domanda di giornalisti circa le responsabilità del governo e dell’esercito imperiale nel reclutamento coatto di tali donne durante gli anni della seconda guerra mondale, Abe aveva risposto: “Il fatto è che non ci sono chiari documenti che provano che ci sia stata costrizione, in senso stretto, da parte dell’esercito”.

In realtà, da quando negli anni ‘70 un giornalista giapponese ha iniziato delle ricerche sulla triste vicenda, si sono avute irrefutabili testimonianze da parte non solo delle vittime, ma anche di militari giapponesi pentiti. Gli storici non sono d’accordo solo sul numero delle vittime: secondo alcuni sarebbero circa 200mila. Secondo alcuni documenti, rinvenuti recentemente, i vertici militari avevano ordinato l’allestimento di 2mila “stazioni-conforto”.

Abe non è uno sprovveduto. La sua gaffe non si spiega se non alla luce di un preciso contesto politico. All’origine della controversa dichiarazione c’è l’iniziativa di un parlamentare democratico americano, Mike Honda, che ha proposto al Congresso una mozione per esortare fortemente il governo giapponese a riconoscere il fatto e a chiedere scusa in modo chiaro. In  passato mozioni simili erano sempre state bloccate dalla maggioranza repubblicana. E anche ora il presidente Bush, si è affrettato a dissociarsi dall’iniziativa. “E’ materia che riguarda le nazioni implicate”, ha detto attraverso un suo portavoce.

Ma ora al Congresso i democratici hanno la maggioranza Da qui la preoccupazione del primo ministro giapponese di porre la questione in un contesto legale e non  morale. Abe si è trovato ancora una volta tra l’incudine e il martello: da una parte la ragione di Stato che lo spinge a dar importanza alle relazioni internazionali, specialmente in Asia, dall’altra  una forte corrente politica del suo partito impegnata a difendere l’onore della nazione, anche a costo di annacquare la storia.

In lui ha prevalso il senso della responsabilità di governo. Ha ritirato indirettamente la dichiarazione dicendo che era stato male interpretata e ha confermato una chiara ammissione fatta nel 1993 da Yohei Kono, allora capo del Gabinetto: Kono aveva riconosciuto che molte donne erano state forzate alla prostituzione e che il governo era responsabile, ed aveva chiesto scusa alle vittime.  Nel 1995, poi, il governo ha istituito un fondo per compensare le vittime ancora viventi, pur usando denaro privato.

Negli anni seguenti un gruppo di 134 parlamentari del partito liberal-democratico, del quale Abe era segretario, ha tentato in vari modi di ridimensionare la dichiarazione Kono, mettendone in dubbio la validità.

Ora Abe ha preso nettamente distanza dai nazionalisti. L’8 marzo, rispondendo a un interpellanza in Senato, ha detto chiaramente che faceva sua la dichiarazione del 1993, e l’11 marzo durante un programma televisivo messo in onda dalla rete nazionale NHK, dopo aver ribadito la validità della dichiarazione Kono ha aggiunto”Offro sincere scuse a coloro che come ‘donne-conforto’ hanno sofferto incommensurabili pene e ferite psicologiche. I miei sentimenti non sono diversi da quelli dei primi ministri Junichiro Koizumi e Ryutaro Hashimoto che hanno mandato lettere di scusa alle ‘donne-conforto’ ”.

I media cinesi hanno immediatamente riferito le parole di Abe definendole “scuse sincere”. Gli osservatori pensano che Pechino desidera impedire un aggravamento della controversia che potrebbe avere effetti negativi sulla visita di Stato del premier Wen Jiabao in Giappone, prevista per aprile. Motivi analoghi hanno spinto la commissione  affari esteri del Congresso americano a rimandare la discussione della mozione di esortazione al governo giapponese a dopo la visita che Abe farà al presidente Bush tra non molto.

“La storia non si cancella ma le sue ferite si possono guarire” ha detto Honda. Se il Giappone avrà il coraggio di guardare al suo passato con obiettività e denunciarne gli aspetti negativi, allora potrà assumere quel ruolo politico internazionale che, già, gli compete per non pochi meriti.

 

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