08/06/2018, 11.44
CINA – GIAPPONE
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Tokyo e Pechino: prove di alleanza tra i due colossi dell’Asia

di Willy Wo-Lap Lam

Sul tavolo delle trattative: sicurezza, commercio e la spinosa questione coreana. I segni di disgelo nascono dalla guerra dei dazi e dal neo protezionismo statunitense. Tokyo è stato un fidato partner economico di Pechino. Ma ora la Cina mira ad essere superpotenza. Per gentile concessione della Jamestown Foundation

Hong Kong (AsiaNews) - Il recente riavvicinamento tra Cina e Giappone è avvenuto più in fretta di quanto molti osservatori pensassero. L’iniziativa questa volta sembra essere partita dal lato cinese. Da quando i due Paesi si sono riconosciuti a vicenda nel 1972 questo fatto rappresenta un’inversione di tendenza. Bisogna notare che i contatti tra le due nazioni più ricche dell’Asia sono ancora lontani dal livello raggiunto nel 2008 durante la precedente storica visita del presidente Hu Jintao in Giappone. La ragione principale dietro i legami ha a che fare con il deteriorarsi delle relazioni tra Cina e Stati Uniti in seguito ai drammatici sviluppi nella penisola coreana.

Il primo ministro cinese Li Keqiang ha partecipato alla riconvocata trilaterale di colloqui tenuta a fine maggio a Tokyo tra i capi di governo di Cina, Giappone e Corea del Sud. Li ha condotto discussioni separate con la controparte Shinzo Abe. È stata la prima visita in Giappone come primo ministro cinese. Gli obiettivi che saltano di più all’occhio del quasi-summit tra Li e Abe sono stati la disposizione di un “meccanismo di relazioni via aria e mare, [così come] una gestione congiunta delle crisi marittime, con la proposta di rendere il mar Cinese orientale un mare di pace, cooperazione e amicizia”. Anche prima della visita di Li, si era capito che il presidente Xi Jinping sarebbe andato l’anno prossimo in una visita di Stato in Giappone dopo la sua attesa partecipazione al G20 a Osaka. (HKO1.com 4 maggio). Con un gesto a sorpresa Xi e Abe hanno parlato al telefono il 4 maggio riguardo i modi in cui possono aumentare i legami bilaterali all’alba delle celebrazioni del 40esimo anniversario del trattato di pace e amicizia tra le due nazioni (Xinhua, May 4).

A questa punto, non è chiaro se queste misure di rinforzo della fiducia possono bastare ad abbassare la tensione. Sottomarini cinesi, navi, jet dell’aeronautica e droni hanno incrementato di molto le loro attività vicino le isole conteese Diaoyu-Senkaku e nelle vicinanze delle zone economiche esclusive del Giappone. (NHK News, April 19; Asahi Shimbun, January 30). Non si può negare che la macchina della propaganda del Partito comunista cinese abbia bloccato la infiammata retorica nazionalista contro il Giappone. Per esempio, Xinhua verso la fine di maggio ha chiesto la rimozione di film e commedie di stampo anti-giapponese – che enfatizzano le atrocità compiute dai giapponesi durante la Seconda Guerra mondiale  così come le imprese più importanti dei soldati cinese in lotta contro gli invasori – dalla televisione cinese. Definendo questi prodotti “spazzatura della cultura” e “un insulto alla memoria di un Paese”, Xinhua ha detto che “andavano contro il comune senso storico” (Xinhua, May 2).

Un buon indicatore per misurare la distensione sino-giapponese può essere il miglioramento continuo dei legami grazie ai risultati raggiunti dall’ex presidente Hu quando ha visitato Tokyo nel 2008, per segnare il 30esimo anniversario dei trattati di pace e amicizia (da qui in poi il Trattato). L’accordo che Hu ha raggiunto con l’allora controparte Yasuo Fukuda (il figlio del precedente primo ministro Takeo Fukuda, che firmò il trattato per conto del Giappone), è stato considerato una vittoria piena, con ampie conseguenze per quanto riguarda tutti gli aspetti degli sforzi bilaterali (China Brief, ottobre 17, 2007). Per prima cosa, entrambe le parti erano d’accordo nel perseguire “una relazione strategica e reciprocamente vantaggiosa a tutto tondo” a partire dal riconoscimento del documento “Mare Cinese orientale un mare di pace, cooperazione e amicizia”, entrambe le parti sono d’accordo nell’iniziare insieme una ricerca di petrolio e gas che potrebbero essere locati in punti sotto il mare vicino alla “linea mediana” nel Mar Cinese orientale. Ugualmente significativo è il fatto che il documento non faccia riferimento sia a contese storiche o dispute riguardanti isole rivendicate da entrambe gli Stati (Xinhua, May 8, 2008). Comunque l’accordo non è mai entrato in vigore a causa della forte opposizione da parte del fronte nazionalista anti-giapponese in Cina.[1]

Per quale motivo Xi sta cercando un rapporto con Tokyo? Pechino vede la disputa commerciale in corso con gli Stati Uniti come una manifestazione superficiale degli sforzi Usa e dei loro alleati per bloccare il cammino della Cina verso lo stato di superpotenza a pieno titolo. La decisione di Washington di vietare ai fabbricanti statunitensi di microchip, software e altri componenti fondamentali di intrattenere rapporti commerciali con ZTE Corporation - una delle più importanti aziende high-tech cinesi - è stata interpretata come parte di una “cospirazione” su più fronti per ostacolare il programma industriale “Made in China 2025”. Il piano industriale prevede che la Repubblica popolare cinese sorpassi gli Usa, la Germania e il Giappone in una serie di settori tecnologici all'avanguardia entro il 2025. Nonostante Donald Trump abbia annunciato la scorsa settimana che Washington potrebbe cedere riguardo alla devastante punizione per il gigante di Shenzhen.

Pechino vuole il sostegno di Tokyo nella costruzione di un fronte unito di Stati che si oppongano al protezionismo commerciale di Trump. Dopo tutto, Trump aveva minacciato di imporre dazi punitivi su acciaio, alluminio e altri prodotti provenienti anche dal Giappone e dalla Corea del Sud (Hindustan Times, 9 marzo, Reuters, 9 marzo). Allo stesso tempo, Pechino spera di stringere accordi con le aziende giapponesi per l'acquisto di microchip e altre tecnologie chiave che sono rimaste al di fuori della portata delle aziende tecnologiche cinesi. Uno dei principali produttori di chip NTT DoCoMo ha annunciato che non venderà tecnologie core a ZTE. Questo indica che un accordo Li-Abe sulla cooperazione ad alta tecnologia potrebbe non essere efficace in questo senso, almeno nel breve termine (United Daily News [Taiwan] [Taiwan], 4 maggio).

L'amministrazione Xi vuole inoltre migliorare i legami con Tokyo in vista delle realtà in rapida evoluzione nella penisola coreana. Xi, che ha sempre guardato con disprezzo Kim Jong-un, il dittatore della Corea del Nord, è rimasto scioccato dai segnali dati dal presidente Moon Jae-in e Kim che potrebbero voler tagliare la Cina dai colloqui sulla denuclearizzazione della Corea del nord. Il professore della Central Party School Zhang Liangui, uno dei massimi esperti di Pechino sulle Coree, ha detto ai media di Hong Kong, che era “prevedibile” che sia Seoul che Pyongyang non volessero che la Cina fosse coinvolta nei colloqui. “Questo era inevitabile perché entrambe le Coree volevano abbandonare l'influenza cinese”, ha detto (South China Morning Post, 29 aprile).

Il timore di Xi di perdere il tradizionale ruolo della Cina come arbitro principale degli sviluppi coreani è stato confermato dalla dichiarazione di Panmunjom firmata tra Moon e Kim dopo il loro storico tete-à-téte il 27 aprile. Entrambe le parti prevedevano “incontri trilaterali che coinvolgevano le due Coree e gli Stati Uniti”, o riunioni quadrilaterali che coinvolgono le due Coree, gli Usa e la Cina “per raggiungere la pace nella penisola coreana” (Korea Herald, 27 aprile). Ciò ha aperto la porta a un accordo negoziato solo tra le due Coree e gli Stati Uniti. Prima del summit Moon-Kim, Xi ha convocato Kim per un colloquio segreto a Pechino a fine marzo, in cui avrebbe impressionato il dittatore coreano 34enne dicendo che Pechino non solo avrebbe fornito aiuti economici alla Corea del Nord, ma avrebbe anche garantito la sicurezza del clan Kim (South China Morning Post, 28 marzo, Japan Times, 28 marzo). Meno di 40 giorni dopo i due leader si sono incontrati di nuovo per due giorni in un resort sulla spiaggia nella provincia nord-orientale della Cina di Liaoning (Xinhua, 8 maggio).

Una corrente di pensiero a Pechino sostiene che, a prescindere dai risultati raggiunti tra Trump e Kim nel loro mini-vertice a Singapore il 12 giugno, gli accordi finali per le principali questioni come la denuclearizzazione e la riforma economica per la Corea del Nord devono essere approvati da quattro parti  che coinvolgono le due Coree, gli Stati Uniti e la Cina (Lianhe Zaobao [Singapore], 8 maggio). Nonostante la lunga alleanza del Giappone con gli Stati Uniti, la leadership Xi spera che Tokyo possa essere persuasa a sostenere i colloqui a quattro, e con loro l'implicita idea che la Cina resti un arbitro nei futuri sviluppi della penisola coreana.

Cosa offre l'amministrazione Xi a Tokyo? Data la probabilità che lo smantellamento dell'arsenale della Corea del Nord sia un processo incrementale, Pechino potrebbe aiutare l'amministrazione Abe garantendo che i missili a corto raggio che potrebbero raggiungere il Giappone vengano distrutti il ​​prima possibile. Per Tokyo ciò è particolarmente importante, poiché la massima priorità di Washington sarà la rimozione dei missili a lunga gittata che possono raggiungere l'Alaska e la terraferma degli Usa. Tokyo potrebbe chiedere anche l'aiuto di Pechino per garantire che l'amministrazione Kim non chieda, almeno nel medio termine, la rimozione delle truppe americane dalla Corea del Sud. Ciò è dovuto all’idea di Tokyo che una riduzione delle truppe statunitensi in Corea avrebbe un impatto negativo sull'impegno generale americano a difendere il Giappone e altre nazioni asiatiche (Japan Times, 1 maggio; Stripes.com, 15 marzo).

Nonostante il devastante danno che il Giappone ha inflitto alla Cina dal 1937 al 1945, a Tokyo va attribuito il merito di aver tolto la Cina dall'isolamento diplomatico e di averla aiutata a industrializzarsi negli anni '60 e '70. Il governo del Partito liberale democratico ha riconosciuto Pechino nel 1972, ben sette anni prima del governo degli Stati Uniti. Oltre agli uomini d'affari cinesi etnici, le imprese giapponesi furono le prime a investire in Cina durante la seconda metà della Rivoluzione culturale (1966-1976). Dopo il massacro di piazza Tiananmen del 1989, l’allora primo ministro giapponese Yoshiki Kaifu è stato il primo leader di un Paese democratico a visitare la Cina, in un periodo in cui la Repubblica popolare cinese era ancora boicottata da molti Paesi occidentali. (Apple Daily, 11 maggio; People’s Daily, 3 dicembre 2004). Incluso l'accordo del 2008 tra Hu e Fukuda, queste novità dei rapporti bilaterali si sono verificate quando il Giappone era ancora la nazione più potente dell'Asia. Date le tendenze nazionalistiche del presidente Xi e l'evidente desiderio di evidenziare lo status di quasi superpotenza della Cina, resta da vedere se la tradizionale relazione simbiotica tra i due vicini possa essere ripresa.


[1][1] Uno dei motivi per cui l'accordo Hu-Fukuda non è mai andato a buon fine è perché prevede anche che le compagnie petrolifere giapponesi investano nel Chunxiao Gasfield, che si trova a ovest della linea mediana del Mar Cinese orientale. Il ministro degli esteri Yang Jiechi ha poi osservato che le società giapponesi che investono in Chunxiao non erano diverse dalle compagnie occidentali come Shell e Unocal che partecipavano allo sfruttamento del petrolio e del gas in diverse parti della Cina. Yang ha anche sottolineato che le imprese giapponesi impegnate nel deposito di gas di Chunxiao si conformerebbero pienamente alla legge cinese. (China News Service, 24 giugno 2008) Tuttavia le spiegazioni delle autorità non hanno soddisfatto i Netizen “patriottici” e altri giovani nazionalisti. La loro veemente opposizione al coinvolgimento del Giappone nel Chunxiao è stata una delle ragioni per cui l'intero accordo è stato sospeso. Per una discussione sul tiro alla fune diplomatico, vedi, ad esempio, Xinjun Zhang: “Perché il consenso sino-giapponese del 2008 sul Mar Cinese orientale si è bloccato: considerazioni sulla buona fede e sulla reciprocità nelle misure provvisorie in attesa di una delimitazione del confine marittimo”, “Sviluppo oceanico e diritto internazionale”, vol. 42, 2011, numero 1-2, pp. 53-65.

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