17/07/2007, 00.00
MEDIO ORIENTE
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Un momento favorevole

di David-Maria A. Jaeger, ofm
Il francescano padre David-Maria A. Jaeger, ofm, è cittadino israeliano. Da tempo attento osservatore della religione e della politica in Terra Santa e nell’intera regione, presenta il suo personale punto di vista sull’attuale momento nella lunghissima ricerca di pace in Terra Santa,
Roma (AsiaNews) – Sotto tutti i punti di vista questo è un momento particolarmente favorevole in Terra Santa – oggi come oggi e si spera questa sera ed anche domani mattina. I fattori che si combinano per rendere possibile ciò sono numerosi e vari, nondimeno la loro concomitanza è generalmente riconosciuta. Fra l’altro, Shimon Peres ha appena giurato come presidente dello Stato di Israele, e benché si tratti di una carica unicamente rappresentativa, l’esplicito impegno del nuovo presidente di portare avanti la libertà per il popolo palestinese – e la pace tra Israele ed il futuro Stato palestinese – sembra indubbiamente avere una maggiore influenza sul pubblico dibattito in Israele.
 
Da parte palestinese, il presidente Abbas sta apparentemente lavorando per segnare una volta di più la distinzione tra l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e l’Autorità palestinese (Ap) e per rendere più visibile rispetto agli ultimi anni che è compito esclusivo dell’Olp e non della Ap negoziare la pace con Israele ed in genere gestire gli affari internazionali. Abbas arriva appena in tempo: prima del recente intervento armato di Hamas a Gaza, il piano (che egli stesso aveva condiviso) era di portare Hamas e gli altri movimenti islamici all’interno dell’Olp stesso, con ciò causando una mutazione genetica di questo movimento nazionale laico – cosa che avrebbe enormemente complicato il compito degli operatori di pace, e non avrebbe lasciato sperare bene per le prospettive che il futuro Stato palestinese sarà laico e democratico.
 
Ma ciò che più di tutto rende questo momento favorevole è il fato che, il 16 luglio, il presidente degli Stati Uniti ha annunciato un maggiore nuovo impegno per far avanzare il processo di pace tra israeliani e palestinesi. Come molti avevano sperato e suggerito, il presidente – al quale manca solo circa un anno e mezzo alla fine del suo secondo ed ultimo mandato – ha deciso che la sua eredità deve comprendere questa decisiva nuova iniziativa. Se coronata di successo (ed il fallimento qui non è una scelta possibile) essa porterà giustamente il suo nome. Gli Stati Uniti allora diventano il motore che guida la ricerca del negoziato di pace, così come la potenza che dirige i negoziati e li incrementa.
 
Il presidente Bush ha annunciato quasi in modo specifico che sarà il suo segretario di Stato, Condoleezza Rice, che in autunno presiederà e guiderà l’importante “incontro internazionale”. Per chiunque abbia seguito – con tristezza mista a speranza – l’inutile spargimento di sangue e la distruzione degli ultimi sette anni (almeno), da quel fatale 28 settembre 2000, questa notizia provoca una indicibile consolazione. Collocare i negoziati per la pace tra israeliani e palestinesi all’interno della struttura-quadro di una conferenza internazionale è stato sempre suggerito, ma mai messo in pratica – dall’unico governo che preme per questo obiettivo, gli Stati Uniti, e neppure dall’Europa. Che fine ha fatto, ad esempio, l’iniziativa congiunta per convocare una conferenza di pace, annunciata con ostentazione non molto tempo fa da Francia, Spagna e Italia? Ora sono gli Usa che prendono l’iniziativa.
 
Non molto finora è noto sui progetti del presidente, che probabilmente – inevitabilmente – evolveranno nel dialogo con le altre parti interessate. In generale si comprende che gli Stati chiave, membri della Lega Araba, saranno invitati ad essere presenti: Paesi come Egitto e Giordania, che già hanno un accordo di pace con Israele, così come – possibilmente – altri come l’Arabia Saudita, che sono particolarmente impegnati nel promuovere la storica iniziativa di pace della Lega Araba, lanciata per la prima volta al vertice di Beirut del 2002 e ripetutamente confermata, e precisata, fino ad ora. In Israele, il governo Olmert ha ora preso un approccio molto più positivo nei confronti di tale iniziativa, ed anche questo è segno pieno di speranza.
 
C’è chi sostiene che un accordo di pace esclusivamente bilaterale tra  israeliani e palestinesi non può esserci o non può essere reso saldo, finché allo stesso tempo non è conclusa una pace tra Israele e la Siria (che comporta anche pace fra Israele e Libano). Numerosi israeliani di spicco, compreso l’ex capo dell’intelligence militare ed altre figure di rilievo nei settori della difesa e della sicurezza, come anche politici e analisti, credono che questa è la realtà e che Israele dovrebbe ben accogliere i ripetuti inviti di Damasco a riprendere i negoziati di pace tra i due Paesi.
 
Dovrebbe certamente portare un enorme contributo se la conferenza di pace dell’autunno riprendesse gli obiettivi della Conferenza di Madrid del 1991. Lì il fine era la pace tra Israele e tutti i suoi vicini arabi, da raggiungere attraverso diretti negoziati bilaterali aiutati da un sostegno internazionale solido, fermo, sistematico e generoso. La Siria è membro della Conferenza di Madrid  e sarebbe naturale per essa essere invitata ad ogni incontro internazionale di pace che si cerca di costruire su queste fondamenta della massima importanza. Come è ben noto, il governo israeliano ha una serie di obiezioni molto serie su quella che ritiene la condotta siriana in alcuni settori e teme che i negoziati con essa possano essere visti come un’acquiescenza su tali comportamenti. Ciò è naturalmente comprensibile. Perfino coloro che propongono i negoziati con la Siria – compreso Israele -  non si sono mai stancati di sottolineare che “si fa la pace col nemico” e solo perché si stanno effettivamente comportando come nemici! D’altro canto, è evidente che, se l’altra parte si fosse sempre “comportata bene”, non sarebbe affatto necessario negoziare la pace! Il dibattito all’interno di Israele continua – è seriamente ponderato e tutti i partecipanti si riconoscono buona fede e ragionevolezza. Questo è il modo nel quale una democrazia matura vuole prendere le sue decisioni
 
In ogni caso, in vista dell’obiettivo finale, la partecipazione di Siria e Libano, così come di Olp, Lega Araba, Unione europea, alla guida degli Stati europei – ed altre potenze che vogliono dare un reale contributo – accrescerebbe grandemente il valore e l’efficacia dell’incontro internazionale che il presidente ha annunciato per l’autunno, e/o di quelli che lo seguiranno.
 
Una cosa da ricordare per gli organizzatori ed i partecipanti. L’obiettivo è “la pace”, non “il processo di pace” (come è talvolta apparso negli ultimi anni). Negoziati concreti, risoluti, finalizzati a un trattato di pace, che comprendano una realistica scaletta per la sua progressiva realizzazione sul campo.
 
Il presidente Simon Peres ha detto tutto questo in una intervista con un’agenzia internazionale, appena prima di giurare: Israele non deve volere, e non permettere a se stesso di continuare indefinitamente a controllare i territori palestinesi. Lo dobbiamo a noi stessi, prima di tutto: essere un occupante non è compatibile con i valori israeliani. Israele vuole e deve essere capace di mettere fine a questa anomalia. Il presidente Peres ha insistito, esplicitamente, subito prima di cominciare la sua difficile missione. Ed ogni persona di buona volontà, dovunque, ha applaudito con approvazione e conforto.
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