08/07/2010, 00.00
CINA
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Un muro per Pechino, città “chiusa” ai migranti

La capitale è invasa dai lavoratori migranti, che in alcune zone sono 10 volte più numerosi dei residenti. Politici e governanti propongono di istituire controlli capillari di polizia. Esperti: occorre invece ripensare l’attuale permesso di soggiorno (hukou).

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Cacciare i migranti da Pechino o richiuderli dentro una zona murata: questa è la soluzione proposta dalle autorità comunali per risolvere il grave problema dei migranti che vivono nella città, ma non possono prenderci residenza.

I migranti mantengono la residenza nel villaggio di origine per non perdere il diritto alla terra agricola e alla casa. Ma per questo non possono prendere la residenza nella città dove lavorano e vivono e non hanno diritto all’assistenza sanitaria gratuita né a mandare i figli alla scuola pubblica. Per risolvere il problema, che riguarda decine di milioni di lavoratori migranti e le loro famiglie, da anni si avanzano proposte. I migranti rimangono il nerbo della manodopera a basso costo che ha fatto ricca la Cina, ma essi godono molto poco del benessere circostante.

In alcune zone della capitale il numero dei residenti migranti “clandestini” supera quello dei residenti ufficiali in proporzione di 10 a 1. Questo ha causato gravi problemi anche di ordine pubblico e ora alcuni villaggi dei sobborghi di Pechino operano uno stretto controllo su chi entra. A Dashengzhuang, città di Xihongmen nel distretto di Daxing, ci sono state 11 morti violente tra novembre e dicembre. Ora ci sono guardie alle vie di accesso e dalle ore 11 alle ore 18 per entrare occorre esibire un apposito pass che indica nome, sesso, etnia, città di nascita, lavoro, numero della carta di identità e del telefono cellulare. Nell’area già 16 villaggi hanno messo porte di accesso all’abitato, barriere e guardie armate; altri 92 faranno lo stesso entro l’anno.

Liu Qi, segretario del Partito comunista di Pechino, in un seminario il 3 luglio scorso ha lodato “la gestione del villaggio [di Dashengzhuang] di stile comunista”, considerato un “esperimento concreto e positivo” che ha anche migliorato la gestione della vita sociale e ha fatto diminuire i reati. Egli ha proposto di estendere tale controllo all’intera Pechino.

Concorda Chen Debao, capo dell’ufficio di Pubblica sicurezza a Daxing, che considera “molto pericolosi i lavoratori migranti stagionali, che per il 90% sono ragazzi diplomati alle scuole superiori”. Nella città saranno installate molte più telecamere e centinaia di poliziotti osserveranno tutto il giorno cosa accade.

Molta gente critica queste misure, dice che questi villaggi sembrano prigioni e contesta la discriminazione contro i migranti. Ma il governo di Daxing risponde che ogni villaggio decide in modo autonomo se “chiudersi” e come. Altri responsabili aggiungono che anche i migranti che abitano nella zona possono ottenere pass “provvisori”.

Ma il professore Hu Xingdou, economista dell’Istituto di Tecnologia di Pechino, spiega al quotidiano South China Morning Post che una simile gestione stile-prigione “può migliorare, o meno, la sicurezza nelle piccole zone, ma non è adeguata per l’intera città”. Occorre, invece, ripensare il sistema della residenza. “Lo hukou… [l’attuale politica sul permesso di residenza] rappresenta chiusura mentale e conservatorismo”.

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