19/12/2008, 00.00
INDIA
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Vedova dell’Orissa: Natale, la forza del perdono per gli uccisori di mio marito

di Nirmala Carvalho
La signora Kadamphul Nayak racconta l’assalto dei fondamentalisti indù, che le hanno ucciso il marito e la suocera. Il cadavere dell’uomo, pastore itinerante nelle aree più remote dell’Orissa, è stato bruciato e fatto sparire dagli estremisti dopo tre giorni. E' stato ucciso perché si è rifiutato di riconvertisti all’induismo.

Bangalore (AsiaNews) – “Mio marito celebrerà il Natale in comunione con Gesù, che ha sempre amato e al quale ha dedicato la sua vita. Per la festa chiedo solo che le persone incontrino il messaggio di salvezza che Cristo annuncia al mondo e imparino a perdonare”. Non c’è rabbia né desiderio di vendetta nelle parole di Kadamphul Nayak, 47 anni, il cui marito è stato ucciso dai fondamentalisti indù nei primi giorni delle violenze anti-cristiane in Orissa. “Per me è stato un privilegio essere sua moglie – dice la donna – e anche se non abbiamo più una casa, la presenza di Gesù nei nostri cuori è motivo di conforto”.

Kadamphul Nayak (nella foto con la nostra corrispondente) è una delle tante vedove che, dai campi profughi dell’Orissa, ha trovato ospitalità a Bangalore grazie all’opera del Global Council of Indian Christians. Il marito, Samuel Nayak, 52 anni, era un pastore che ha predicato la parola di Dio per oltre 25 anni nelle aree più remote dell’Orissa. Originario del villaggio di Bakingia, nel distretto di Kandhamal, egli è stato ucciso dai fondamentalisti indù il 26 agosto scorso perché si è rifiutato di rinnegare la fede in Cristo e convertirsi all’induismo.

“Alle 8 del mattino del 26 agosto – racconta la donna – una folla di 500 fondamentalisti indù ha preso d’assalto il villaggio di Bakingia: prima hanno distrutto la chiesa, poi le hanno dato fuoco. Ho urlato a mio marito di fuggire nella foresta, ma lui si è rifiutato perché sua madre Janamati Nayak, 75enne, in quel momento stava dormendo e da sola non sarebbe riuscita a salvarsi”. Kadamphul riferisce che la folla ha fatto irruzione all’interno dell’abitazione cantando inni indù, poi ha cosparso di benzina e kerosene i corpi di Samuel, della madre e il suo. “Hanno minacciato di darci fuoco – prosegue – poi hanno iniziato a picchiare mio marito. Un uomo lo ha trascinato all’esterno e gli ha puntato un pugnale al collo, intimandogli di rinnegare la fede in Cristo e convertirsi all’induismo”. La ferma opposizione dell’uomo ha aumentato la ferocia assassina degli estremisti: “Hanno dato fuoco a mia suocera, bruciandola viva. Mentre Janamati era avvolta dalle fiamme, di nuovo intimavano a mio marito di rinunciare a Gesù. Uno di loro mi ha legato e accoltellato in diversi punti, dal bacino al collo”. Al quel punto i fondamentalisti hanno intimato per la terza volta al pastore di rinnegare la sua fede. Egli, invece di chiedere pietà per la sua vita, ha esclamato: “Per 25 anni ho annunciato la parola di Dio, percorrendo a piedi in lungo e in largo l’Orissa per proclamare al mondo che Gesù è fonte di amore e salvezza. Non abbandonerò mai Cristo, il mio salvatore”. Queste parole hanno accecato i terroristi, che lo hanno sgozzato urlando “ora vediamo se Cristo verrà in tuo aiuto”.

Dopo aver ammazzato l’uomo, i fondamentalisti hanno di nuovo cosparso di kerosene il corpo di  Kadamphul; la donna, quasi per miracolo, è riuscita a fuggire e a nascondersi nella foresta prima che le dessero fuoco. “Il giorno seguente ho visto il cadavere carbonizzato di mio marito nello stesso punto in cui lo avevano ammazzato. È rimasto lì per tre giorni – denuncia la donna – senza che nessuno lo raccogliesse. Io ero troppo spaventata per farlo. Il 28 agosto un gruppo di estremisti indù ha prelevato il cadavere e lo ha gettato via. Non l’ho più ritrovato, e ora non ho nemmeno una tomba sulla quale pregare per la sua morte”.

Oggi Kadamphul Nayak ha trovato rifugio e accoglienza a Bangalore, ma il pensiero va ai due figli e ai nipoti nei campi profughi dell’Orissa. “Ogni anno – conclude – mio marito metteva in scena il presepe vivente, con gli animali, i pastori, la Madonna, San Giuseppe e il bambino. Questa immagine mi conforta a mi riempie di pace. Nei campi profughi possiamo davvero cogliere l’essenza del Natale, la nascita di Cristo nella grotta, al freddo, e nella precarietà”.

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