28/09/2006, 00.00
INDIA
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Vescovi indiani: "No alla legge anti-conversione nel Gujarat"

di Nirmala Carvalho

I presuli dello Stato occidentale definiscono incostituzionali e discriminatori gli emendamenti approvati dal parlamento statale e spiegano che la conversione è una grazia personale, in cui il potere temporale non può intervenire.

Gandhinagar (AsiaNews) – I vescovi dello Stato occidentale del Gujarat "chiedono al governatore di non approvare gli emendamenti alla legge sulla libertà religiosa", perché "incostituzionali e discriminatori" non solo per i cristiani "ma per tutte le religioni non indù".

In una lettera aperta datata 20 settembre, mons. Stanislaus Fernandes sj – segretario generale della Conferenza episcopale indiana ed arcivescovo della capitale Gandhinagar – e mons. Thomas Macwan – vescovo di Ahmedabad – chiedono a Nava Kishore Sharma, massima autorità statale, se vi siano i presupposti per questi "draconiani" emendamenti.

I vescovi si dicono "sorpresi dalla durezza della proposta" e chiedono se "si sono verificati casi di conversione forzata nello Stato". Inoltre, i presuli sottolineano che "la conversione è una grazia che avviene all'interno dei singoli: nessun potere temporale può intervenire nelle coscienze umane. Ogni interferenza è fuori posto e inopportuna".

Il parlamento del Gujarat ha adottato la Legge sulla libertà religiosa nel 2003, rendendo di fatto illegali le conversioni da una religione ad un'altra. I nuovi emendamenti, approvati il 19 settembre scorso, definiscono in modo poco chiaro il significato di "conversione forzata" - accusa spesso rivolta ai cristiani - e stabiliscono a chi deve essere applicata la norma.

Il testo emendato recita: "Convertire significa fare rinunciare una persona ad una religione abbracciandone un'altra, ma non il passare da una denominazione all'altra di una stessa fede". Nella sua classificazione la nuova legge raggruppa gianisti, indù e buddisti sotto un'unica religione, come pure protestanti e cattolici, sciiti e sunniti; nel testo non si fa menzione dei sikh (19 milioni nel Paese).

Secondo il leader dell'opposizione in Gujarat, Arjun Modhvadia, il disegno di legge non passerà l'esame legale: "Nel 1992 la Commissione nazionale per le minoranze ha riconosciuto al buddismo lo status di religione separata; stessa cosa ha fatto nel 2004 la Corte Suprema per il gianismo". Frange più estremiste del governo volevano includere anche il sikhismo tra le "denominazioni dell'induismo", ma la proposta non è stata accolta per paura di proteste.

I due presuli aggiungono nella lettera che "le punizioni previste per chi commette questo cosiddetto reato sono molto più dure per i membri delle caste inferiori: questo non è giusto". Inoltre, la base stessa su cui si fondano i presupposti legali degli emendamenti "è contro l'art. 25 della nostra Costituzione, che garantisce la libertà di coscienza e la libera professione, pratica e propagazione della propria religione" e "contro l'art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ratificato dall'India".

"Inoltre – concludono – si deve prendere in considerazione il costante impegno della Chiesa a favore dell'armonia interreligiosa. Per tutto questo, gli emendamenti non devono essere approvati".

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