25/03/2005, 00.00
VATICANO
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Via Crucis: la "sporcizia" della Chiesa, le ideologie "putrefatte"

Le meditazioni scritte dal card. Ratzinger per la Via Crucis al Colosseo: il neopaganesimo della "cristianità", il "tradimento" dei discepoli, la "sporcizia" nella Chiesa. Di Dio si vuole ricordare solo l'aspetto amorevole, sottacendone il "giudizio".

Roma (AsiaNews) - La parabola del chicco di grano, che per dare frutto deve morire, è il filo conduttore delle meditazioni della Via Crucis di quest'anno, scritte dal cardinale Joseph Ratzinger. Lo sguardo sulla morte di Gesù, il vero chicco di grano, porta il teologo Ratzinger a riflettere sul rapporto tra Dio e gli uomini di questo tempo, segnato da una cultura che vuole prescindere da Dio, in un neopaganesimo fondato sull'orgoglio e sulla banalizzazione dei valori e anche della fede. E non ci si accorge che questa strada porta all'autodistruzione. E' un peccato che trova sponda anche tra gli uomini di Chiesa. "Quanta sporcizia" c'è anche qui, scrive il cardinale, che lancia un terribile monito: dell'immagine di Dio e di Gesù, alla fine, ammettiamo "soltanto l'aspetto dolce e amorevole, mentre abbiamo tranquillamente cancellato l'aspetto del giudizio".

Lo sguardo del card. Ratzinger si posa sull'intera umanità. "Quante volte - dice alla seconda stazione, quando Gesù viene caricato della croce - le insegne del potere portate dai potenti di questo mondo sono un insulto alla verità, alla giustizia e alla dignità dell'uomo! Quante volte i loro rituali e le loro grandi parole, in verità, non sono altro che pompose menzogne, una caricatura del compito a cui sono tenuti per il loro ufficio, quello di mettersi a servizio del bene". "Il prezzo della giustizia è sofferenza in questo mondo".

Alla terza ed alla settima stazione, nelle cadute di Gesù, egli rileva, c'è il peccato dell'orgoglio dell'uomo. "Nella caduta di Gesù sotto il peso della croce appare l'intero suo percorso: il suo volontario abbassamento per sollevarci dal nostro orgoglio. E nello stesso tempo emerge la natura del nostro orgoglio: la superbia con cui vogliamo emanciparci da Dio non essendo nient'altro che noi stessi, con cui crediamo di non aver bisogno dell'amore eterno, ma vogliamo dar forma alla nostra vita da soli. In questa ribellione contro la verità, in questo tentativo di essere noi stessi dio, di essere creatori e giudici di noi stessi, precipitiamo e finiamo per autodistruggerci". La storia più recente, poi, mostra come "anche la cristianità, stancatasi della fede, abbia abbandonato il Signore: le grandi ideologie, come la banalizzazione dell'uomo che non crede più a nulla e si lascia semplicemente andare, hanno costruito un nuovo paganesimo, un paganesimo peggiore, che volendo accantonare definitivamente Dio, ha finito per sbarazzarsi dell'uomo". La terza caduta, infine, "forse ci fa pensare alla caduta dell'uomo in generale, all'allontanamento di molti da Cristo, alla deriva verso un secolarismo senza Dio. Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c'è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore".

Le stesse parole di Gesù che, nell'ottava stazione, rimprovera le donne di Gerusalemme che lo seguono e piangono su di lui, sono da vedere come "un rimprovero rivolto ad una pietà puramente sentimentale, che non diventa conversione e fede vissuta". "Non serve compiangere a parole, e sentimentalmente, le sofferenze di questo mondo, mentre la nostra vita continua come sempre. Per questo il Signore ci avverte del pericolo in cui noi stessi siamo. Ci mostra la serietà del peccato e la serietà del giudizio. Non siamo forse, nonostante tutte le nostre parole di sgomento di fronte al male e alle sofferenze degli innocenti, troppo inclini a banalizzare il mistero del male? Dell'immagine di Dio e di Gesù, alla fine, non ammettiamo forse soltanto l'aspetto dolce e amorevole, mentre abbiamo tranquillamente cancellato l'aspetto del giudizio? Come potrà Dio fare un dramma della nostra debolezza? – pensiamo. Siamo pur sempre solo degli uomini! Ma guardando alle sofferenze del Figlio vediamo tutta la serietà del peccato, vediamo come debba essere espiato fino alla fine per poter essere superato. Il male non può continuare a essere banalizzato di fronte all'immagine del Signore che soffre. Anche a noi egli dice: Non piangete su di me, piangete su voi stessi… perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?"

"Nella putrefazione delle ideologie – è la conclusione della Via Crucis - la nostra fede dovrebbe essere di nuovo il profumo che riporta sulle tracce della vita. Nel momento della deposizione comincia a realizzarsi la parola di Gesù: "In verità, in verità, vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12, 24). Gesù è il chicco di grano che muore. Dal chicco di grano morto comincia la grande moltiplicazione del pane che dura fino alla fine del mondo". (FP)
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