14/09/2015, 00.00
ISRAELE
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Vicario di Gerusalemme: scuole cattoliche, “moderato ottimismo” per una soluzione positiva

Ad AsiaNews mons. Marcuzzo parla di “contatti personali” che potrebbero aiutare a sbloccare nei prossimi giorni la controversia. Il “risveglio” dei mezzi di informazione ha contribuito a sensibilizzare sulla vicenda e creare un “clima positivo”. Gli istituti educativi centri di eccellenza per l’istruzione nazionale. Nazionalizzare le scuole, avverte il prelato, significa cancellare la presenza cristiana.

Gerusalemme (AsiaNews) - “A livello ufficiale la situazione è rimasta immutata, perché in questi giorni di festa [per il Capodanno ebraico, ndr] non abbiamo potuto tenere riunioni e incontri. Tuttavia, a livello personale vi sono stati diversi contatti, che possono essere utili nei prossimi giorni per dirimere la controversia”. Raggiunto da AsiaNews, mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale di Gerusalemme, mostra un “moderato ottimismo” per una soluzione positiva della controversia in corso da settimane sulle scuole cattoliche in Israele. Per il prelato vi è stato “un risveglio incredibile della stampa, anche ebraica” che ha seguito con attenzione la vicenda interessando “responsabili, ministri, sindaci, associazioni nazionali e civili”. Un’attenzione popolare, aggiunge, “che ci ha stupito e messo in moto un meccanismo di sensibilizzazione capillare e creato un clima positivo attorno a noi”.

Dall’inizio del mese le scuole cristiane in Israele sono in sciopero. Professori e alunni denunciano una doppia discriminazione nei confronti delle proprie istituzioni: il governo ha ridotto le sovvenzioni che ormai coprono solo il 29% delle spese; allo stesso tempo, il governo pone un limite alle rette che le scuole possono ricevere dalle famiglie. In questo modo, diverse scuole non riescono più a far fronte alle spese annuali e rischiano di chiudere.

La discriminazione è un dato di fatto evidente, se si paragona a quanto avviene con le scuole ebraiche ultra-ortodosse, che vengono sovvenzionate in toto dal governo e non subiscono ispezioni dal ministero dell’Educazione, sebbene esse non siano in regola col curriculum degli studi. Il tema delle scuole è stato uno dei punti chiave al centro dell’incontro della scorsa settimana fra papa Francesco e il presidente Reuven Rivlin, alla sua prima volta in Vaticano. 

Le autorità israeliane “sono molto disturbate dal fatto che siamo perseveranti nello sciopero” spiega mons. Marcuzzo, che ricorda gli “oltre 30mila giovani e bambini che dovrebbero essere a scuola, invece sono a casa”. La scorsa settimana 450mila studenti arabi israeliani hanno scioperato, esprimendo sostegno e solidarietà alle scuole cristiane. “Sono immagini che fanno male a Israele - commenta il prelato - e fanno male alla popolazione stessa”. 

Il vicario patriarcale di Gerusalemme non nasconde le proprie preoccupazioni di fronte al tentativo di “sopprimere le scuole cristiane, facendole diventare istituti pubblici”. In questo modo verrebbe meno “la loro identità” e nel contesto mediorientale e della Terra Santa in particolare ciò comporterebbe “lo svuotamento della presenza cristiana”. “Nel contesto storico e sociale attuale - prosegue il prelato - è assolutamente essenziale la presenza della Chiesa e la scuola è una componente prioritaria della sua missione”. 

In Israele vi sono ad oggi 47 scuole cristiane, che garantiscono istruzione a oltre 33mila bambini, il 60% dei quali cristiani e circa il 40% musulmani, e una piccola rappresentanza ebraica. Anche i maestri e il personale non docente non è solo cristiano, poiché vi sono anche insegnanti (su un totale di 3mila) musulmani ed ebrei. Fino a qualche anno fa i fondi governativi coprivano il 65% delle rette, ma sono stati ridotti fino al 34% per poi scendere oggi al 29%, una cifra considerata insufficiente per coprire i costi. 

Per far capire il valore delle scuole cattoliche, mons. Marcuzzo snocciola alcune cifre: “Noi cristiani siamo il 2% della popolazione, le scuole cattoliche ricoprono il 4% del sistema educativo, ma il 30% degli iscritti all’università provengono dalle nostre strutture e l’80% degli impiegati nel settore high-tech in Israele è stato in passato un nostro studente… Ecco perché sono le migliori del Paese”.

Privare la comunità cristiana delle scuole significa spingere i giovani a perdere in modo progressivo la propria identità “per ignoranza, attraverso l’emigrazione o integrandoli nelle strutture nazionali, la prima delle quali è l’esercito”. In ballo, afferma il vicario patriarcale, “non vi è solo una questione di finanziamento delle scuole, ma anche e soprattutto di diritti, uguaglianza, giustizia, democrazia, di libertà e, in ultima istanza, di pace. Noi siamo e restiamo un ponte fra comunità, dove c’è la presenza cristiana è possibile la convivenza fra fedi diverse. Se c’è una comunità cristiana, anche musulmani, drusi ed ebrei riescono a convivere”.

Infine, il prelato conferma che - almeno per il momento - è esclusa la chiusura dei luoghi di culto cristiani quale forma di protesta: “Invito i fedeli e i pellegrini di tutto il mondo a venire in Terra Santa. Chiese e monasteri resteranno aperti, per ora non è stata ancora presa in considerazione questa forma di protesta. Se ne è parlato, ma nulla almeno a livello ufficiale… sarebbe per noi l’estrema ratio ma contiamo sul buon senso delle parti per non arrivare a questo punto”.(DS)  

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