25/09/2006, 00.00
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Wei Jingsheng: il valore della libertà in Cina e nel mondo

di Wei Jingsheng

Al convegno su "Cina e libertà" organizzato dalla Fondazione Liberal a Siena (22-23 settembre), il "padre della democrazia cinese", il dissidente Wei Jingsheng* è stato insignito del premio "Stefano Bellaveglia". Dopo la "laudatio" con le motivazioni del premio, espressa dal giornalista Aldo Forbice, Wei ha tenuto il discorso che presentiamo qui in edizione integrale.

Siena (AsiaNews) - Signore e Signori, grazie per avermi concesso l'onore di parlare dinanzi a questo pubblico. Coglierò l'occasione per raccontare a tutti alcuni aneddoti personali. Si tratta di esperienze rivelatesi, per me, molto istruttive, che mi hanno insegnato cosa sia la libertà e quale sia il suo prezzo.

Tutti parlano di libertà. Lo fanno i filosofi, così come gli esperti di letteratura e, sempre più, anche i politici giocano con questa parola. Ma la libertà ha davvero valore per noi?

Perché paghiamo un prezzo così alto per la libertà? Credo che molti degli amici seduti in questa platea, oggi, si pongano come me questo interrogativo.

Ricordo quando ero in prigione. Un detenuto, un ex funzionario pubblico, mi ha posto la stessa domanda. Diceva che quando era un funzionario non aveva mai capito quanto fosse preziosa la libertà. All'epoca, era una persona molto influente e, naturalmente, data la corruzione che caratterizza gli ambienti pubblici cinesi, era anche molto facoltoso. Molte persone sono state private della libertà per mano sua. Alcuni li ha privati della libertà senza pensarci su due volte: non riteneva che la libertà avesse rilevanza alcuna. Persino quando stava per essere privato della propria libertà continuava a non pensare che fosse importante. Quindi, ha accettato di assumersi la responsabilità delle azioni di un altro, prendendo il posto di un avido funzionario ed aggiungendo, così, diversi anni alla propria condanna. Ama ascoltare gli elogi per il suo gesto.

Sapeva che altri avevano unto gli ingranaggi per lui in prigione. Non avrebbe dovuto subire i maltrattamenti subiti dai prigionieri comuni. Non avrebbe dovuto subire le punizioni inflitte ai detenuti comuni. Avrebbe goduto dei privilegi di cui non godevano i prigionieri comuni, compreso il trattamento speciale vietato dal regolamento carcerario. Tuttavia, era infelice lo stesso: si trattava di un'infelicità difficile da spiegare. Aveva sempre l'impressione che mancasse qualcosa alla sua salute e alla sua vita.

Gli ho detto che, forse, gli mancava la libertà. La libertà è una cosa che accompagna l'uomo sin dalla nascita, come l'aria che respiriamo, è qualcosa che dobbiamo avere per natura. Quindi, non le annettiamo importanza. Soltanto una volta persa la libertà, capiamo che è la cosa più preziosa di tutte. Qualche tempo dopo mi ha chiesto: "sei stato messo in isolamento, ove si ha ancor meno libertà rispetto a qui. Perché non sembri essere tanto infelice? Sembri ogni giorno pieno di felicità". Ho risposto: "Sono triste quanto te per aver perso la libertà. Però, poi penso che sebbene io abbia perso la libertà, un miliardo di cinesi ne acquisiranno un po' di più proprio a seguito della mia perdita. Questa gioia supera la mia infelicità.

Quel detenuto asseriva di non aver ancora compreso, perché in realtà la libertà altrui non poteva compensare quella che avevo perso. Diceva: "Comunque, tu resti privo della tua libertà".

Dopo aver riflettuto un minuto, gli ho raccontato quello che mi era stato riferito una volta da un poliziotto. Un poliziotto mi aveva visto nella cella buia. Oltre alle letture, c'era soltanto una cella lunga cinque passi nella quale camminare. Camminando, riflettevo sui problemi e il mio volto si illuminava di un sorriso: avevo un aspetto rilassato. Egli pensava che ciò fosse strano e, un giorno, mi chiese: ti sei battuto per la libertà altrui, ma ora hai perduto la tua, è vero che anche senza libertà esiste qualcosa di cui essere felici?". Risposi senza esitare: "Non mi sento privo della libertà. Dimmi, tra noi due, chi è più libero"? Iniziò immediatamente a ridere e rispose: "io mi occupo della prigione, tu vivi in prigione, quindi, naturalmente, io sono più libero di te".

Ribattei: "non necessariamente". Udite le mie parole, il poliziotto rise nuovamente, chiedendomi perché. A mia volta, gli chiesi: "Io posso essere rinchiuso in prigione, ma se voglio dire qualcosa, ho il coraggio di farlo. Tu hai lo stesso coraggio"? Rimase fermio, attonito, e non rispose. In quel momento mi resi conto che la libertà primaria di un individuo è la libertà interiore. Un corpo privo di libertà può essere dovuto ad altri, ma la libertà dello spirito è qualcosa di cui nessuno può privarci. Tuttavia, un'indole debole spesso ci induce a privarci della libertà interiore. Ci chiudiamo in una prigione interna dello spirito.

Ciò accade soprattutto sotto i regimi tirannici o in presenza della tentazione di conseguire lauti guadagni. La gente sopprime spesso la propria coscienza per adattarsi alla tirannia o per soddisfare i propri interessi egoistici. Agire andando contro le proprie convinzioni, persino fino al punto di aiutare un governo tirannico a privare un numero infinito di persone della libertà. Esistono, però, anche persone che, per la libertà propria ed altrui, avversano il governo tirannico. Così, la libertà assume connotazioni politiche. La privazione della libertà e la lotta per la libertà sono diventate le tematiche principali della politica.

Combattendo per la libertà, propria ed altrui, migliaia e migliaia di persone hanno perso la vita o la libertà a favore della tirannia. Nelle prigioni vi sono moltissimi detenuti di un nuovo tipo: i detenuti politici. I detenuti politici sono un sottoprodotto dei governi tirannici e corrotti.

Cos'è un prigioniero politico? Ne sono state date innumerevoli definizioni. Mi sembra sempre che non siano perfettamente calzanti. Mentre ero in prigione, ho incontrato un detenuto. Veniva da una zona montuosa. Non sapeva leggere ed aveva compiuto un reato ignobile. Fu inviato dai responsabili del carcere a sorvegliare i prigionieri politici. Una volta, pensando di aver subito un torto, si rivolse a me lamentandosi: "Noi non siamo come voi prigionieri politici: persino la polizia vi rispetta".

Rimasi incredulo nell'udire le sue parole e gli chiesi: "sai cos'è un prigioniero politico"? Rispose: "Certo che lo so. Noi criminali abbiamo fatto del male ad altri per un nostro tornaconto, mentre voi, prigionieri politici, fate del male a voi stessi per il tornaconto altrui".

E' questa la definizione più semplice e calzante che abbia mai udito. Nel corso degli ultimi millenni, l'umanità è riuscita ad avversare la tirannia perché esistono persone di tal fatta, persone pronte a sacrificarsi per la libertà. Sotto i regimi tirannici, questi santi e martiri si sono sacrificati, oppure sono diventati prigionieri politici, perché altri potessero conquistare la libertà.

Nelle società libere, non sarebbero prigionieri politici, ma sacrificherebbero comunque il loro tornaconto per il bene altrui.

Senza queste persone, la nostra libertà sarebbe inferiore a quella che è oggi. Grazie all'azione di queste persone, verranno ridotte la tirannia e le sofferenze del mondo. Tutti gli amici qui presenti si adoperano a favore della libertà e della riduzione delle sofferenze dell'umanità e, per farlo, pagano un prezzo più o meno alto.

Grazie a tutti.

Lavoreremo sodo insieme, senza mai fermarci.

 

* Chi è Wei Jingshen

Wei ha una lunga storia nel campo dei diritti umani e della democrazia in Cina. Il 5 aprile 1976, a 26 anni, partecipa al primo moto antigovernativo che scoppia in piazza Tiananmen. Due anni dopo appare, nei pressi di uno dei principali incroci della capitale, il Muro della Democrazia: un angolo di muro dove sono affissi i dazibao della contestazione democratica. Il 5 dicembre 1978 affigge il testo che lo renderà celebre – "La Quinta Modernizzazione" - dove sviluppa l'idea che il progresso economico del paese (le "quattro modernizzazioni" esaltate dal regime comunista) deve passare attraverso la democratizzazione del sistema, senza la quale il popolo non avrà alcun beneficio. Wei denuncia la detenzione per motivi politici, la miseria di una parte della popolazione, le origini politiche della delinquenza giovanile, la vendita di bambini per le strade di Pechino. Dal '79 al '93 è tenuto in prigione per volere di Deng Xiaoping. Dopo il rilascio, il primo aprile 1994 viene fatto sparire insieme alla sua compagna. Il 13 dicembre 1995, un anno e mezzo dopo il nuovo arresto, Wei riappare davanti alla Corte popolare di Pechino e condannato a 14 anni di prigione per "aver complottato contro il governo". Il 16 novembre 1997 è stato scarcerato dalle autorità cinesi dopo fortissime pressioni da parte della comunità internazionali e mandato all'estero per "cure", ma in realtà condannato all'esilio. Al momento vive negli Stati Uniti ed è il presidente del Comitato oltreoceano del Movimento "Democratic China".

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