18/03/2019, 12.53
CINA-ITALIA
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Xi Jinping parte per l’Italia. I dubbi sul Memorandum of understanding

di Bernardo Cervellera

I timori di una “trappola del debito” come è avvenuto per alcuni Paesi come Sri Lanka, Myanmar, Pakistan. Indebitati i Paesi Ue dell’Europa dell’est che già collaborano con Pechino. Il deficit commerciale della Polonia con la Cina è passato da 10,3 miliardi di dollari nel 2012, a 28,4 miliardi. La nuova legge sugli investimenti stranieri, frutto delle pressioni Usa e Ue.

Roma (AsiaNews) – Il ministero degli esteri cinese ha confermato oggi che dal 21 al 26 marzo il presidente Xi Jinping visiterà l’Italia, Monaco e la Francia. In Italia, in particolare, egli dovrebbe firmare un Memorandum of understanding (d’intesa, Mou) con cui il governo italiano si offre come partner per sostenere la Belt and Road Initiative (Bri), la “Nuova Via della seta” che Pechino sostiene con fondi fino a 1000 miliardi di dollari, che prevede la costruzione di infrastrutture ferrovie, strade e linee marittime che dovrebbero facilitare il commercio mondiale.

In Italia vi sono voci totalmente a favore verso la firma, soprattutto da parte di Michele Gerace, sottosegretario per l’economia, ed esperto sinologo. Ma vi sono anche dubbi e critiche perché il Mou potrebbe diventare un boomerang che non aiuterebbe l’export italiano verso la Cina.

Pechino ha già finanziato progetti simili in Asia, Africa ed Europa (dell’est) e vi sono voci critiche che dicono che tutto ciò ha portato benefici solo alle industrie cinesi, avvolgendo in una “trappola del debito” Paesi come lo Sri Lanka, il Myanmar e il Pakistan.

Il timore è anche che il Mou permetterebbe con maggiore facilità la penetrazione in Europa di investimenti cinesi fino alla loro egemonia.

Vari esperti citano quanto sta avvenendo con il gruppo “16+1”, che dal 2012 garantisce la collaborazione fra la Cina e diversi Paesi membri dell’Unione Europea - quali Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia e Slovenia - insieme ad altri cinque Paesi non ancora della Ue: Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Albania e Macedonia del Nord.

Finora le promesse della Cina di offrire prestiti speciali non si sono realizzate. Invece, sta crescendo il deficit commerciale di questi Paesi nei confronti di Pechino. Quello polacco, ad esempio, che nel 2012 era di 10,3 miliardi di dollari, è ora di 28,4 miliardi.

Alcuni economisti fanno notare che l’adesione della sola Italia alla Bri, senza una concertazione con gli altri Paesi Ue, indebolisce proprio il dialogo dell’Unione europea con la Cina. In un incontro il mese prossimo la Ue, che definisce la Cina come un “concorrente economico”, vorrebbe ottenere più libertà negli investimenti europei, finora frenati da molte barriere commerciali.

“Dialogare da soli con la Cina, come vuol fare l’Italia – ha detto un economista che vuole rimanere anonimo – significa non avere la forza sufficiente per correggere errori o ingiustizie che potrebbero affacciarsi in futuro”. E fa l’esempio della nuova legge sugli investimenti stranieri, votata dall’Assemblea nazionale del popolo lo scorso 15 marzo a Pechino. In essa si garantisce maggiore uguaglianza di trattamento fra compagnie straniere e compagnie locali, e si proibisce il trasferimento forzato di tecnologie, uno dei punti che Usa e Ue hanno chiesto con più forza in questi anni. Ma senza una forza contrattuale delle due economie occidentali, forse non sarebbe mai stata votata una legge simile.

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