02/05/2014, 00.00
CINA
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Xinjiang, l'attentato di Urumqi "è opera di estremisti religiosi"

Secondo le autorità centrali e provinciali, nell'attacco alla stazione di Urumqi sono morti i due assalitori e un civile innocente. Diffusa l'identità di uno dei due: si tratta di un cittadino cinese, di etnia uighura, di 39 anni. Gruppi etnici all'estero parlano di 100 arresti, ma senza fornire dati precisi. Esperti: "Vogliono alzare il tiro nel confronto armato con le autorità".

Urumqi (AsiaNews) - L'attentato compiuto ieri nella stazione ferroviaria di Urumqi, capitale della provincia settentrionale del Xinjiang, "è opera di estremisti religiosi, che per lungo tempo sono stati sotto l'influsso di sovversivi e indipendentisti". Lo sostengono oggi le autorità provinciali, citate dall'agenzia di stampa ufficiale Xinhua. Nell'attacco sono morti entrambi i terroristi e un civile innocente: i feriti sono 79, di cui alcuni in gravi condizioni. Uno dei due assalitori è stato identificato: si tratta di Sedirdin Sawut, cittadino cinese di 39 anni, proveniente dalla contea di Aksu.

L'attentato è avvenuto subito dopo la partenza del presidente Xi Jinping dalla regione: il leader cinese ha trascorso nel Xinjiang 4 giorni, la sua prima visita ufficiale nell'area, durante i quali ha invitato la popolazione a "comprendere meglio l'indipendentismo" di alcune frange locali per poterlo "combattere meglio". Secondo diversi analisti ed esperti, il fatto che l'attacco sia avvenuto in coincidenza con la visita di Xi dimostra che gli estremisti "vogliono alzare il tiro" nel confronto armato con le autorità.

Le autorità centrali non hanno chiarito come stiano andando le indagini sul caso. Alcuni gruppi di uighuri che vivono all'estero sostengono che almeno 100 persone siano state già arrestate, ma senza fornire dati precisi. Di certo la sicurezza nell'area è aumentata in maniera esponenziale, e alle normali forze di polizia di stanza nella regione si sono aggiunti almeno 2 battaglioni dell'Esercito di liberazione popolare.

La provincia del Xinjiang è una delle più turbolente di tutta la Cina: qui vive l'etnia uighura, circa 9 milioni di persone turcofone e di religione islamica, che ha sempre cercato di ottenere l'indipendenza da Pechino. Il governo centrale, da parte sua, ha inviato nella zona centinaia di migliaia di cinesi di etnia han per cercare di renderli l'etnia dominante. Inoltre impone serie restrizioni alla libertà religiosa, alla pratica musulmana, all'insegnamento della lingua e della cultura locale.

Dal 2009 è in atto un regime speciale di controllo da parte della polizia e dell'esercito cinese, imposto da Pechino dopo gli scontri nei quali quasi 200 persone persero la vita. In seguito a quelle violenze sono state inflitte centinaia di condanne a pene detentive e decine di condanne a morte. Le autorità cinesi ritengono che i responsabili delle violenze siano estremisti musulmani, ma gli esuli sostengono che Pechino "esagera" la minaccia del terrorismo islamico per giustificare la repressione contro la popolazione uighura.

Negli ultimi mesi, tuttavia, si sono intensificati gli attacchi violenti che Pechino iscrive agli uighuri. Lo scorso 1 marzo 2014, un attacco contro la stazione ferroviaria di Kunming portato avanti da uomini armati di coltello ha provocato 29 morti e più di 150 feriti; il 28 ottobre 2013, l'esplosione di un suv in piazza Tiananmen ha fatto altre 3 vittime. Secondo il governo, dietro questi attacchi c'è l'etnia. 

 

 

 

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