02/07/2010, 00.00
CINA
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Xinjiang un anno dopo: il mondo “potrebbe fare di più”

Rebiya Kadeer, leader dell’etnia uighura in esilio negli Stati Uniti, denuncia: “C’è maggiore attenzione, ma il potere economico di Pechino impedisce alle nazioni di fare qualcosa di vero per noi”. Ancora in carcere migliaia di uighuri, arrestati durante i moti del 5 luglio scorso. Pronta una manifestazione mondiale per il primo anniversario del massacro.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Il mondo “dimostra una maggiore attenzione per la causa degli uighuri in Cina, ma potrebbe fare molto di più per noi”. Lo ha dichiarato ieri Rebiya Kadeer, leader dell’etnia uighura in esilio negli Stati Uniti, per commemorare il primo anniversario di una delle più sanguinose rivolte etniche avvenute nel Paese asiatico. Intanto, per tenere sotto controllo la situazione, il governo centrale ha installato 40mila telecamere nella capitale provinciale Urumqi.

Un anno fa, infatti, la comunità islamica di etnia uighura che risiede nella provincia settentrionale dello Xinjiang ha lanciato la propria sfida al dominio del governo centrale di Pechino: nel corso degli scontri, secondo fonti ufficiali, sono morte almeno 200 persone. Altre 1.700 sono state ferite, mentre è sconosciuto il numero degli arresti: questi, secondo i leader della dissidenza, si contano in decine di migliaia.

Gli uighuri non chiedono l’indipendenza da Pechino, ma vorrebbero vedersi riconosciuta una maggiore autonomia. Nonostante lo Xinjiang – che i dissidenti chiamano Turkestan orientale – sia una delle province a statuto speciale create da Mao Zedong, i residenti accusano le autorità di impedire l’apprendimento della lingua e dei costumi locali, rimpiazzati da quelli dell’etnia han dominante in Cina. Questi ultimi , sostenuti dalle autorità, esercitano anche una sorta di “razzismo economico” che tende a mantenere i nativi della regione lontani dai centri di potere.

Rebiya Kadeer, 63enne madre di 11 figli, ha passato molti anni in galera per la sua opposizione al regime cinese ma – prima dello scontro aperto – ha cercato di usare i canali “istituzionali” per portare avanti la causa del suo popolo: è stata deputata all’Assemblea nazionale del popolo di Pechino e ha avuto molto successo economico. Oggi, in esilio negli Usa, dice: “Sono soltanto una donna ordinaria, ma il governo mi teme. Questo dimostra che le mie richieste sono giuste”.

La Cina “accusa gli uighuri di essere estremisti islamici, ma non ha prove per sostenere queste false accuse. Dalla sua ha un enorme potere economico, che le permette di far tacere le proteste dei governi occidentali e quelli musulmani”. Pechino ha annunciato di voler investire circa 10 miliardi di yuan (1 miliardo di euro) nella regione a partire dal 2011, per “migliorare le condizioni di vita degli uighuri”.

Per la Kadeer, questo annuncio “fa parte della politica commerciale cinese. Se vogliono veramente cambiare le cose, devono rilasciare gli innocenti che hanno arrestato e scusarsi per quello che hanno fatto non solo con gli uighuri, ma con tutta la popolazione del Turkestan orientale”. In ogni caso, sembra che l’atteggiamento di Pechino non sia destinato a cambiare.

Per l’anniversario della strage, che cade il prossimo 5 luglio, la polizia ha di fatto blindato la capitale. Quaranta mila telecamere sono state installate sugli autobus pubblici, nelle stazioni, su circa 4mila strade, 270 scuole e 100 supermercati. Secondo le autorità, gli occhi elettronici servono “per garantire la sicurezza nei luoghi pubblici più importanti e permettere a tutta la popolazione, di tutte le etnie, di godere dei servizi statali”.

Contro la repressione cinese, il World Uyghur Congress (Associazione che riunisce i dissidenti dell’etnia in giro per il mondo) ha organizzato una manifestazione internazionale sempre per l’anniversario. Sono previste marce di protesta davanti alle ambasciate cinesi negli Stati Uniti, Giappone, Germania, Gran Bretagna e Turchia.

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