18/09/2020, 09.02
CINA
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Xinjiang: 1,3 milioni di persone all’anno ‘educate’ nei campi d'internamento

In un libro bianco, le autorità di Pechino sostengono che le strutture sono degli istitutivi professionali per combattere la povertà. Per l’Onu e larga parte della comunità internazionale sono dei lager. Gli Usa pronti a varare legge che blocca import dalla regione. Gigante svedese dell’abbigliamento taglia i legami con fornitore dello Xinjiang.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Le autorità dello Xinjiang hanno “educato” e formato 1,3 milioni di residenti all’anno tra il 2014 e il 2019. Per la prima volta, in un libro bianco pubblicato ieri, il governo cinese ha fornito un dato sul numero di persone ospitate in quelli che le Nazioni Unite e larga parte della comunità internazionale considerano veri e propri “campi di concentramento”.

Secondo dati di esperti, confermati dall’Onu, oltre un milione di uiguri (su una popolazione di quasi 10 milioni) e altre minoranze turcofone di fede islamica sono detenuti in modo arbitrario nello Xinjiang, che la locale popolazione chiama “Turkestan orientale”. Attivisti per i diritti umani e molti governi, tra cui Stati Uniti e Unione europea, descrivono le strutture detentive come dei lager usati per indottrinare la popolazione uigura.

Dopo anni di accuse, Pechino ha  ammesso l’esistenza dei centri nell’ottobre 2018, sostenendo però che si trattano di scuole professionali per educare i cittadini uiguri, soprattutto i giovani, contro il terrorismo, il separatismo e l’estremismo islamico, e per combattere la povertà: il documento appena presentato ribadisce tale posizione.

Il 30 agosto, durante una visita in Francia, il ministro cinese degli Esteri Wang Yi ha dichiarato che tutte le persone ospitate in questi istituti hanno terminato il loro corso di studi e hanno trovato un impiego. Un’inchiesta di Radio Free Asia dell’11 settembre dimostra il contrario: almeno tre campi di concentramento, con più di 20mila prigionieri uiguri, sono ancora in funzione nella contea di Uchturpan.

Per le sue politiche nello Xinjiang, Pechino è sempre più nel mirino della comunità internazionale. Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni su politici e funzionari cinesi coinvolti nella repressione degli uiguri. Nei giorni scorsi, Washington ha vietato l’importazione di alcuni beni dalla regione che ritiene siano prodotti grazie allo sfruttamento degli internati. Il Congresso Usa, con un accordo tra democratici e repubblicani, è pronto a approvare una legge che vieta le importazioni dallo Xinjiang quando queste sono collegate al lavoro forzato.

L’amministrazione Trump ha già invitato le imprese Usa a tagliare i legami con i loro fornitori nello Xinjiang. Nike e Apple, che hanno forti interessi nella regione autonoma, hanno aperto un’indagine sull’impiego di lavoratori uiguri e di altre minoranze locali. Lo stesso stanno facendo alcune imprese europee. Il 16 settembre, il gigante svedese dell’abbigliamento H&M ha annunciato che interromperà i rapporti con un produttore di cotone sospettato di sfruttare prigionieri uiguri.

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