31/03/2015, 00.00
MYANMAR
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Yangon: accordo per il cessate il fuoco fra governo e gruppi etnici, ma è presto per festeggiare

di Francis Khoo Thwe
I rappresentanti dell’esecutivo e di 16 gruppi minoritari hanno sottoscritto la prima bozza. Ora si aspetta il via libera da parte dei rispetti leader etnici. All’incontro assenti i rappresentanti Kokang. Soddisfazioni del presidente Thein Sein; plauso dell’Onu. Attivista cattolica Kachin: “difficile” credere alle autorità birmane, non è su scala nazionale e vi sono ancora conflitti irrisolti.

Yangon (AsiaNews) - I rappresentanti del governo birmano e dei 16 gruppi ribelli armati del Myanmar hanno sottoscritto la prima bozza per il cessate il fuoco, nel contesto di un piano su scala nazionale per la fine dei conflitti armati nel Paese. Al momento della firma era presente anche il presidente birmano Thein Sein, che ha voluto partecipare in prima persona ad un evento che molti analisti ed osservatori internazionali definiscono “storico”. Difatti se rispettato, l’accordo raggiunto oggi al Myanmar Peace Centre a Yangon potrebbe scrivere la parola fine a decenni di violenze etniche. 

Ieri i rappresentanti dei due fronti - quello governativo, lo Union Peace-Making Work Committee e il blocco dei gruppi etnici del Nationwide Ceasefire Coordination Team (Ncct) - hanno confermato il raggiungimento di un compromesso che riguarda tutti i punti controversi. Ora la bozza è pronta per essere presentata ai vari leader etnici, che dovranno dare l’approvazione finale. 

Il Nationwide Ceasefire Agreement, meglio noto come Nca, è composto da sette capitoli, 33 sezioni e 86 clausole. Le Nazioni Unite hanno accolto con favore la firma, definendola un “traguardo storico e significativo”, che ha gettato le basi per una “pace genuina e permanente nel Paese”. Soddisfazione viene espressa anche dal presidente Thein Sein, il quale afferma che “la gente ha bisogno della pace, desidera la pace e si aspettano la pace”. 

Tuttavia, restano ancora aperte alcune questioni fondamentali per una vera pace nel Paese. Prima fra tutti, la mancanza ai colloqui in programma in questi giorni dei rappresentati della minoranza Kokang, protagonisti dell’ultimo e sanguinoso conflitto in ordine di tempo con l’esercito birmano. Ancora oggi si registrano focolai di violenza fra ribelli e soldati governativi, così come in altre zone del Myanmar. 

Interpellata da AsiaNews Khon Ja Labang - leader cattolica già membro del movimento Kachin Peace Network, impegnata nella pacificazione delle aree teatro di conflitti etnici - sottolinea che, a dispetto dei proclami, resta “difficile credere” alla sincerità delle autorità birmane. Ed è ancora più difficile “credere e fidarsi” dei vertici dell’esercito birmano (il Tatmadaw), anche se “resta forte il desiderio di non sentire più nemmeno un colpo di cannone”. Peraltro, spiega l’attivista cattolica, “ancora questa mattina erano in atto scontri e invasioni nella cittadina di Mansi, nello Stato Kachin”. 

Analizzando più in profondità l’Nca, la leader Kachin afferma che “vi sono alcuni punti che non sono stati inseriti dalle parti nell’accordo” e restano delle differenze in campo fra il fronte governativo e i gruppi etnici rappresentanti nell’Ncct. “Questi punti - avverte - vanno risolti”. La mancanza di alcuni gruppi etnici, aggiunge, porta a dire che “l’accordo non è su scala nazionale” e poi vi è un pericoloso precedente: l’accordo firmato il 10 marzo scorso fra governo e studenti, il quale non ha però impedito violenze e repressioni da parte dei militari, oltre che una sconfessione di fatto del compromesso raggiunto. 

Il Myanmar è composto da oltre 135 etnie, che hanno sempre faticato a convivere in maniera pacifica, in particolare con il governo centrale e la sua componente di maggioranza birmana. In passato la giunta militare ha usato il pugno di ferro contro i più riottosi, fra cui i Kachin nell'omonimo territorio a nord, lungo il confine con la Cina, e più di recente con i ribelli Kokang nello Stato Shan. Divampata nel giugno 2011 dopo 17 anni di relativa calma, la guerra nello Stato Kachin ha causato decine di vittime civili e almeno 200mila sfollati; nell'agosto scorso i vescovi della regione hanno lanciato un appello per la pace, auspicando una soluzione "duratura" al conflitto. 

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