22/11/2019, 11.04
THAILANDIA - VATICANO
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​Papa in Thailandia: Chiese di Asia, ‘piccoli strumenti nelle mani creatrici del Signore’

Nell’incontro con sacerdoti, religiosi e vescovi, Francesco ha sottolineato il significato della missione che “prima che attività da realizzare o progetti da porre in atto, richiede uno sguardo e un ‘fiuto’ da educare”.

Bangkok AsiaNews) – “Non cedere alla tentazione di pensare che siete pochi; pensate piuttosto che siete piccoli, piccoli strumenti nelle mani creatrici del Signore. Lui scriverà con la vostra vita le più belle pagine della storia della salvezza in questa terra”. E’ una esortazione rivolta da papa Francesco ai sacerdoti e religiosi thailandesi, ma certamente estensibile a tutti i cristiani asiatici, fedeli di una Chiesa che nel continente è quasi ovunque di minoranza. Chiesa alla quale il Papa ha dedicato la mattina del suo terzo giorno a Bankok, visto che ha incontrato anche i vescovi della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (FABC).

A sacerdoti, religiosi e vescovi Francesco ha quindi parlato di missione, delle “radici missionarie che hanno segnato queste terre”. E i primi missionari “non hanno cercato un terreno con garanzie di successo; al contrario, la loro ‘garanzia’ consisteva nella certezza che nessuna persona e cultura fosse a priori incapace di ricevere il seme di vita, di felicità e specialmente dell’amicizia che il Signore desidera donarle. Non hanno aspettato che una cultura fosse affine o si sintonizzasse facilmente con il Vangelo; al contrario, si sono tuffati in quelle realtà nuove convinti della bellezza di cui erano portatori. Ogni vita vale agli occhi del Maestro”. “Mi piace evidenziare – ha detto poi - che la missione, prima che attività da realizzare o progetti da porre in atto, richiede uno sguardo e un ‘fiuto’ da educare; richiede una preoccupazione paterna e materna, perché la pecora si perde quando il pastore la dà per persa, mai prima”.

Uno dei “punti più belli dell’evangelizzazione – ha sottolineato più avanti – è renderci conto che la missione affidata alla Chiesa non consiste solo nella proclamazione del Vangelo, ma anche nell’imparare a credere al Vangelo e a lasciarsi trasformare da esso”.  “Una Chiesa in cammino, senza paura di scendere in strada e confrontarsi con la vita delle persone che le sono state affidate, è capace di aprirsi umilmente al Signore e con il Signore vivere lo stupore dell’avventura missionaria, senza la necessità consapevole o inconsapevole di voler apparire anzitutto lei stessa, occupando o pretendendo chissà quale posto di preminenza”.

La missione, ha detto ancora Francesco, non è affare che riguarda solo i consacrati: “Non perdiamo di vista il fatto che molte delle vostre terre sono state evangelizzate da laici. Essi hanno avuto la possibilità di parlare il dialetto della gente, esercizio semplice e diretto di inculturazione non teorica né ideologica, ma frutto della passione del condividere Cristo”.

C’è stata anche una testimone diretta della missione. Nell’incontro con i sacerdoti e i religiosi l’ha portata Benedetta Jongrak Donoran, postulante saveriana di 44 anni, di origine buddista, battezzata nel 2012. Una racconto, pubblicato qui accanto, segnato anche dalla presenza di un missionario del Pime.

In un Paese nel quale convivono pacificamente religioni diverse, papa Francesco ha incontrato anche gli esponenti di altre fedi (nella foto). Nel pomeriggio, infatti si è recato alla Chulalongkorn University di Bangkok dove, alle ore 15.20 locali (8.20 GMT) ha  incontrato i leader cristiani e di altre religioni.

“La necessità di riconoscimento e di stima reciproca, così come la cooperazione tra le religioni, è ancora più urgente per l’umanità contemporanea” che si trova ad affrontare problematiche complesse, “come la globalizzazione economico-finanziaria e le sue gravi conseguenze nello sviluppo delle società locali” e “la tragica persistenza di conflitti civili: conflitti sui migranti, sui rifugiati, per le carestie e conflitti bellici”, oltre al “degrado e la distruzione della nostra casa comune”.

“Oggi è tempo di immaginare, con coraggio, la logica dell’incontro e del dialogo vicendevole come via, la collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e criterio; e, in questa maniera, offrire un nuovo paradigma per la risoluzione dei conflitti, contribuire all’intesa tra le persone e alla salvaguardia del creato”. E’ un campo nel quale le religioni, così come le università, “hanno molto da apportare e da offrire”.

 “Questi tempi esigono da noi che costruiamo basi solide, ancorate sul rispetto e sul riconoscimento della dignità delle persone, sulla promozione di un umanesimo integrale capace di riconoscere e pretendere la difesa della nostra casa comune; su un’amministrazione responsabile che tuteli la bellezza e l’esuberanza della natura come un diritto fondamentale all’esistenza. Le grandi tradizioni religiose del mondo danno testimonianza di un patrimonio spirituale, trascendente e ampiamente condiviso, che può offrire solidi contributi in tal senso, se siamo capaci di arrischiarci ad incontrarci senza paura”.

“Tutti noi siamo chiamati non solo a fare attenzione alla voce dei poveri intorno a noi: gli emarginati, gli oppressi, i popoli indigeni e le minoranze religiose, ma anche a non aver paura di generare istanze, come già timidamente iniziano a svilupparsi, dove poterci unire e lavorare insieme. Nel contempo, ci è richiesto di assumerci il dovere di difendere la dignità umana e di rispettare i diritti di coscienza e di libertà religiosa, di creare spazi dove offrire un po’ di aria fresca nella certezza che «non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto» (Enc. Laudato si’, 205)”.

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