16/10/2007, 00.00
ITALIA-FILIPPINE
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“Rapito da Cristo e dai poveri”: padre Bossi si racconta in un libro

Il missionario parla dell’esperienza del suo sequestro che, sottolinea il superiore generale del Pime “prende significato alla luce della vocazione missionaria che ha portato Giancarlo nelle Filippine”.
Milano (AsiaNews) - Di padre Giancarlo Bossi e del suo rapimento è stato scritto molto. Mancava, però, sin qui un ritratto dell’uomo nella sua quotidianità, un profilo del missionario capace di esplorare le ragioni della sua scelta missionaria e il segreto della sua testimonianza di fede. Ora, a colmare questo vuoto, c’è un libro, “Rapito”, da pochi giorni in libreria per i tipi dell’Editrice Missionaria Italiana (pp. 128, 10 euro), in cui padre Bossi racconta e si racconta.
 
Il sottotitolo suona: “Quaranta giorni nelle mani dei ribelli, una vita nelle mani di Dio”. Il perché lo spiega nella prefazione il superiore generale del Pime, padre Gian Battista Zanchi: “Il rapimento di padre Bossi prende significato alla luce della vocazione missionaria che ha portato Giancarlo nelle Filippine (in caso contrario, si tratterebbe solo di una disavventura a lieto fine). Al tempo stesso, l’esperienza ‘estrema’ del rapimento getta un fascio di luce sulla vicenda missionaria ‘feriale’. Prima di esserlo fisicamente, per mano di una banda di delinquenti, padre Giancarlo - è lui stesso a dirlo - era stato ‘rapito’ spiritualmente dalla radicalità del Vangelo, dall’appello di Cristo ‘Andate in tutto il mondo’ e dai poveri, destinatari privilegiati dell’annuncio. Il sequestro non è allora da leggersi come uno spiacevole incidente di percorso, bensì una tappa di un cammino più lungo: il cammino della missione”.
  
Nel libro padre Bossi rievoca l’inizio della sua vocazione missionaria, partendo dall’ambiente famigliare e dalla sua Abbiategrasso, ripercorre i 27 anni di missione nelle Filippine, durante i quali ha toccato varie località, sperimentando contemporaneamente l’amore e la solidarietà della gente comune e l’ostilità dei fondamentalisti.
 
Il libro è molto più che il diario della prigionia, esperienza che padre Giancarlo arriva a giudicare, nonostante tutto, come «un tempo di grazia», una sorta di Esodo di purificazione e ritorno all’essenzialità. Sui motivi del rapimento padre Bossi è categorico: si è trattato di soldi, non di persecuzione anti-cristiana. Dei suoi autori dice: “Semplicemente un criminale, non lo hanno fatto in quanto musulmani. È sbagliata l’equazione musulmano-criminale”. E tuttavia, non mancano nel libro - oltre a pagine bellissime in cui il missionario si sofferma sul perdono per i rapitori - pensieri e riflessioni, talora provocatori, sull’islam e sull’impegno per il dialogo. Che per padre Bossi deve partire dal rispetto reciproco, “altrimenti non è autentico”.
 
Corredato da un inserto fotografico e da schede sulla realtà di Mindanao a cura di Stefano Vecchia, il libro è arricchito dalla bella testimonianza di Pino Scaccia, inviato del Tg 1, che ha seguito da vicino l’odissea di padre Bossi e la sua liberazione, e dall’introduzione di Gerolamo Fazzini, condirettore di Mondo e Missione.
 
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