P. Patton: la Colletta del Venerdì Santo e la Pasqua con pochi pellegrini per la guerra
di Dario Salvi

Il Custode di Terra Santa ad AsiaNews: la questione palestinese è un problema irrisolto a lungo rimosso, che va affrontato “con realismo”. Il voto Onu sulla tregua ha un “valore morale”, ma serve il “coraggio” di riconoscersi e legittimarsi. Il centurione romano “esempio di fede matura”. La Colletta “comunione speciale” e risorsa fondamentale oggi, con un pensiero a tutti i cristiani perseguitati nel mondo. 


Gerusalemme (AsiaNews) - La “questione palestinese” sembrava “dimenticata”, oscurata da altre emergenze globali o relegata ai margini dell’agenda internazionale, e gli stessi “Accordi di Abramo” sottoscritti da Israele con parte del mondo arabo apparivano come “una strategia per rimuoverla”. Tuttavia, gli eventi di cronaca degli ultimi mesi [dall’attacco terrorista di Hamas del 7 ottobre alla guerra lanciata dallo Stato ebraico a Gaza] mostrano che “non può essere rimossa, ma va risolta”. È quanto - nel giorno in cui le Chiese di tutto il mondo in occasione del Venerdì Santo vivono il gesto della Colletta per la Terra Santa - sottolinea ad AsiaNews il custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, secondo cui è inutile, oltre che impossibile, “fare finta che il problema non ci sia: al contrario, essa va affrontata con realismo, necessita di una soluzione di natura politica, col riconoscimento della piena dignità e del diritto all’esistenza del popolo palestinese”. 

Sul piano della diplomazia internazionale un passaggio significativo, sebbene non decisivo, si è registrato nei giorni scorsi al Consiglio di sicurezza Onu con l’astensione statunitense che ha permesso l’approvazione (14 voti favorevoli) della risoluzione sul cessate il fuoco a Gaza. Una decisione importante, spiega il Custode, “se non rimane solo sulla carta” pur sapendo che “molte risoluzione non hanno gran seguito pratico” ma rivestono un “valore morale” in linea con le direttive della comunità internazionale che preme per una tregua. “E dopo la tregua, la pace - prosegue - per agevolare una soluzione politica del conflitto” che porti “alla nascita di uno Stato di Palestina accanto allo Stato di Israele: entrambi - afferma - devono avere il coraggio di riconoscere l’altro come legittimo e con diritto all’esistenza”. 

Intanto i cristiani di Terra Santa vivono l’esperienza “unica” della Pasqua nei “luoghi” in cui è nato Cristo, sperimentando in prima persona “i vari misteri: non abbiamo bisogno di fantasia - racconta p. Patton - per la domenica delle Palme, il lunedì a Betania dove Maria cosparge di olio i piedi di Gesù, poi il Cenacolo il giovedì e la Via Crucis” oggi. “Vivere la Pasqua a Gerusalemme - prosegue - è una occasione unica per immergersi nella dimensione storica del cristianesimo” e per affermare che “la nostra fede non si basa su un mito, ma sulla testimonianza di chi lo ha incontrato risorto. Per noi è questa una occasione unica per rinnovare la nostra fede, che è poi l’unica e più grande speranza che abbiamo: se lui è risorto, il male non è l’ultima parola”.

Una resurrezione, prosegue il Custode di Terra Santa, che troppo spesso viene intesa come “rianimazione, ma sarebbe un tornare indietro mentre, al contrario, vuol dire andare avanti e portare la nostra umanità a Dio”. Per questo, aggiunge, “ci sottrae alle miserie della storia” ed è più che mai attuale oggi in un mondo piagato da violenze, conflitti e devastazioni. Il tempo che separa dalla resurrezione di Gesù alla nascita della Chiesa, sino al suo ritorno “è un tempo di lotta e di prova, non possiamo illuderci che sia un paradiso in terra”, durante il quale “sperimentiamo pestilenze, guerre, pandemie, crisi ecologiche ed economiche”. La giornata di oggi diventa “occasione per metterci nei panni dell’unico uomo che fa una professione di fede matura, il centurione romano, che vedendo morire Gesù in croce come annota il Vangelo di Marco - spiega il Custode - afferma che egli è davvero figlio di Dio”. E lo riconosce, aggiunge, “non perché lo vede risorto, ma per come lo vede morire, assumendo su di sé la solitudine umana e la trasforma in un atto di abbandono”. 

Il Venerdì Santo è anche occasione per ricordare la “Collecta pro Locis Sanctis”, nata dalla volontà dei pontefici di mantenere forte il legame fra i cristiani nel mondo e i luoghi santi. “È importante - conferma - perché non è una colletta basata sull’emergenza, per un terremoto o una inondazione, ma esprime come stabilito da Paolo VI nel 1974 la comunione fra la Chiesa universale e la Chiesa di Gerusalemme attraverso la Custodia di Terra Santa”. Rappresenta una “comunione speciale” attraverso l’aspetto economico ed è “ancora più importante in questa fase in cui vi è mancanza di pellegrini per la guerra”. Sono risorse fondamentali, afferma p. Patton, “per portare avanti le attività sociali, le scuole in una fase in cui le famiglie non hanno soldi per mancanza di lavoro” dovuta alla crisi del turismo religioso. “La colletta è uno strumento concreto e ordinato, perché permette di rendere conto annualmente dei progetti e delle opere in una prospettiva di trasparenza”. 

Infine, il Custode torna sul tema dei pellegrini che “non sono totalmente assenti, qualcuno si è visto anche per la domenica delle Palme ma resta una Pasqua triste. I nostri fratelli di Gaza vivono un prolungato Venerdì Santo - spiega - e sono ridotti alla fame, riescono a cucinare qualcosa di caldo solo una o due volte la settimana: una situazione ingiustificabile, ma che riescono a vivere con una fede che fa vergognare tutti noi, affermando pubblicamente che la loro casa è la Chiesa e la loro unica certezza Gesù”. “Dall’altro la loro testimonianza sprona a essere più coerenti, a vivere una Pasqua difficile per tutti soprattutto in Cisgiordania, a Betlemme, senza turisti e senza lavoro, ma con una partecipazione che è più forte del solito, come abbiamo visto già a Natale. È come se avvertissero - sottolinea - che in un contesto tragico la fede deve fare un salto di qualità e ci si aggrappa a Cristo”. Ai cristiani in Occidente chiede di “guardare alla Terra Santa” dove vi è una “Chiesa madre in difficoltà. Quello che noi viviamo - conclude - è ciò che sperimenta la maggior parte dei cristiani nel mondo, dall’Africa all’Asia passando per l’America latina: sono in sofferenza, non vivono di privilegi, con l’unica differenza che noi siamo sotto i riflettori dell’informazione”. 

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